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L’errore nella compilazione della bolletta doganale

L’errore nella compilazione della bolletta doganale non può precludere il rimborso dei maggiori dazi applicati, ove effettivamente non dovuti (CTP Ancona, sez. 3, sent. 20 gennaio 2021-dep. 24 febbraio 2021, n. 43/21)

La Commissione tributaria provinciale di Ancona ha fornito importanti indicazioni di principio in ordine ad una prassi doganale che risulta alquanto frequente nell’ambito doganale del capoluogo marchigiano.

Il caso in questione riguardava una importazione per la quale, nella compilazione della bolla doganale, erano stati erroneamente valorizzati alcuni campi circa l’origine dei beni importati, il che determinava l’applicazione di dazi, peraltro particolarmente elevati, anziché l’esenzione daziaria che sarebbe spettata per la effettiva origine preferenziale dei beni secondo la disciplina dell’art. 64, C.D.U.E. (Reg. UE n. 952/2013) e del Reg. (UE) n. 978/2012.

 

Al fine di recuperare i maggiori dazi erroneamente appresi dalla Dogana all’atto dell’importazione, lo spedizioniere richiedeva, ai sensi dell’art. 173 C.D.U.E., la revisione dell’accertamento relativo alla dichiarazione di importazione presentata, evidenziando l’errore compiuto nella compilazione della bolletta doganale a mezzo di specifico software, che dimostrava unendo la documentazione comprovante l’origine delle merci.

L’Agenzia delle Dogane respingeva l’istanza, osservando che essa non poteva essere accolta in quanto tale condotta aveva nei fatti determinato “l’elusione e/o lo sviamento dei controlli da parte del “circuito doganale di controllo” non potendo, tale strumento, fare una corretta analisi dei rischi” e che pertanto la formulata richiesta di revisione dell’accertamento, e rettifica di quanto indicato in dichiarazione, avrebbe costituito un “abuso del diritto”. A fronte di quanto sopra, la Dogana giustificava il proprio diniego di revisione dell’accertamento su istanza di parte, successiva allo svincolo della merce, ritenendo quest’ultimo ammissibile “solo nella misura in cui non costituisca un espediente per aggirare il circuito doganale di controllo”, e che, al contrario, nel caso considerato il comportamento dello spedizioniere avrebbe costituito “una fattispecie di negligenza da parte dell’operatore che ha eluso/sviato il “circuito doganale di controllo” e non ha consentito all’Autorità doganale di effettuare i relativi controlli di competenza».

 

L’operatore ben conosce la diretta conseguenza del rigetto di una tale istanza, ovvero che i dazi ordinari, già percepiti, non sarebbero stati restituiti all’importatore e pertanto sarebbero stati definitivamente acquisiti all’erario pur essendo dimostrato che ai beni importati spettava l’applicazione di un regime delle preferenze, e ciò indebitamente, in modo da determinare nei fatti l’applicazione di una sanzione pari al dazio non dovuto, del tutto illegittima.

 

Importatore e spedizioniere impugnavano quindi il provvedimento di diniego, che ritenevano illegittimo, innanzi alla C.T.P. di Ancona, evidenziando: che non si ponevano limiti legali alla revisione dell’accertamento, come la stessa Agenzia delle dogane peraltro confermava; che la condotta contestata consisteva, come pure riconosciuto dall’Agenzia, in una mera svista, per cui era fuori luogo qualsiasi contestazione inerente l’abuso del diritto; che, nella sostanza, i dazi applicati, e appresi dalla Dogana, non erano dovuti.

Di conseguenza, secondo i ricorrenti, il diniego espresso risultava illegittimo e determinava l’applicazione di un dazio difformemente dalla disciplina applicata in tutti gli altri Paesi dell’Unione secondo la tariffa doganale comune, risolvendosi inoltre in una sanzione impropria, con cui la Dogana intendeva arbitrariamente sanzionare l’importatore per l’errore commesso.

 

La Commissione tributaria interpellata si è convinta della fondatezza del ricorso, evidenziando che nel caso considerato “non può trattarsi di negligenza inescusabile, dal momento che la dinamica rappresentata, in relazione all’errore, potrebbe verificarsi, soprattutto quando sussiste una serie ripetitiva di adempimenti, quali quelli doganali, anche a fronte di una diligenza che si può pretendere da parte di un operatore professionale”.

La Commissione ha infatti osservato, in merito alla condotta che veniva indirettamente contestata, che “in realtà, si tratta né più né meno di una svista, concretatosi in un “clic” nell’ambito di sistemi informatici fortemente automatizzati”, con la conseguenza che sarebbe risultato abnorme il comportamento dell’Ufficio ove si intendeva sanzionare l’importatore in maniera impropria e pesante, in difetto di previsioni di legge.

Quanto invece alla contestazione per cui l’indicazione (pur non intenzionale, ma semplicemente negligente) di un Paese di origine diverso da quello effettivo avrebbe costituito un espediente per aggirare il circuito doganale di controllo, sulla cui base l’Agenzia riteneva pertanto che la richiesta di revisione non potesse essere accolta in quanto la sua formulazione avrebbe concretato un abuso del diritto, la Commissione ha indicato che “se si parte dal presupposto che si è trattato di un errore (scusabile o meno su questo si rimanda alla considerazione di cui sopra) allora, come è evidente, non è da discutersi su un espediente per aggirare i controlli doganali. Ma ancora meno si può parlare di abuso del diritto, dal momento che la nozione richiama comportamenti consapevoli con I quali il contribuente strumentalizza un suo diritto comunque accertato”.

I Giudici hanno pertanto concluso che il diniego di revisione dell’accertamento doganale, e quindi sostanzialmente del rimborso dei dazi non dovuti, era del tutto illegittimo, osservando che esso “rimane quindi un’irrituale e non consentita sanzione, in relazione a un comportamento che, quante volte sia non oltre la colpa lieve, appare senz’altro giustificabile”.

 

Avv. Edgardo Bartolazzi Menchetti

 

Avv. Alessio Stacchiotti