Diritto penale minorile
Il diritto penale minorile si diversifica in particolare grazie alle caratteristiche proprie del processo penale minorile che si distacca dal procedimento ordinario per imputati adulti principalmente in forza delle peculiarità del soggetto coinvolto nella vicenda processuale. Il regime differenziato infatti si giustifica in base ad una sostanziale differenza tra minorenne e adulto poiché il primo, in quanto soggetto la cui personalità è ancora in via di sviluppo, ha una maggiore occasione di crescita e di essere educato, non essendo dotato di strutture psicologiche definitivamente orientate. In questo senso la finalità rieducativa, espressa anche dalla Costituzione all’articolo 27 comma 3 relativamente alle pene, acquista centralità assoluta potendo trovare maggiori possibilità di realizzazione rispetto al procedimento ordinario, proprio perché già il processo stesso può fungere da occasione per educare (e non solo rieducare) il minore.
Il microsistema di giustizia minorile è quindi diretto in modo specifico alla ricerca delle forme più idonee a far comprendere all’imputato l’illiceità della condotta ed al raggiungimento della sua rieducazione, perseguendo un obiettivo che va oltre la mera repressione del soggetto autore di reato.
Proprio perché l’imputato è una persona ancora in crescita, e quindi, con ragionevole certezza, è più facile operare ed avere aspettative in ordine ad un completo recupero, l’impostazione del sistema di giustizia minorile esige non tanto un’attenzione al fatto di reato commesso, ovvero sull’evento criminoso, ma piuttosto sulla personalità in formazione del minorenne e sul suo diritto all’educazione. L’oggetto del processo si sposta, dunque, dal fatto alla persona, e l’accertamento del fatto di reato costituisce l’input per lavorare sulla rieducazione del soggetto minorenne.
Per ottenere questa finalità rieducativa e per attuare un percorso responsabilizzante si è dunque ritenuto opportuno evitare il più possibile le esperienze detentive, che, anche negli adulti, producono molto spesso effetti opposti a quelli voluti, rafforzando l’orientamento verso scelte delinquenziali. Al contrario, il giovane ha maggiore probabilità di allontanarsi dalla devianza se alla sua rieducazione si provvede attraverso il coinvolgimento, se possibile, del suo ambiente familiare e sociale, preparato a supportare la difficile scelta di cambiamento del ragazzo. La responsabilizzazione e la condivisione da parte del minore di valori socialmente accettati, inoltre, costituiscono la migliore strada verso la prevenzione della commissione di ulteriori reati.
Proprio in virtù di quanto appena esposto, il codice del processo penale minorile, d.P.R. 448/1988, prevede alcuni istituti peculiari rispetto al rito destinato agli imputati adulti quali il proscioglimento per irrilevanza del fatto e la sospensione del processo con messa alla prova. Queste misure consentono di individualizzare la risposta dell’ordinamento a fronte di comportamenti che, seppur integranti fattispecie astratte di reato, assumono una diversa connotazione alla luce del soggetto che le ha poste in essere.
Nello specifico, il proscioglimento per irrilevanza del fatto consente di estromettere rapidamente il minore dal circuito penale evitando gli effetti pregiudizievoli che il processo inevitabilmente comporta. Qualora venga accertato che il minore abbia realizzato la fattispecie astratta di reato contestata, si potrà comunque giungere ad una sentenza di improcedibilità alla presenza di tre condizioni: il fatto deve essere tenue, il comportamento occasionale e vi deve essere il rischio che la prosecuzione del processo pregiudichi le esigenze educative dello stesso. Il comportamento, seppur penalmente rilevante in astratto, viene in questi casi considerato “irrilevante” dal Legislatore e viene di conseguenza riconosciuta applicabile la presente causa di non punibilità. Si vuole con tale istituto minimizzare il contatto tra minore e processo, in ossequio al principio di adeguatezza alle esigenze educative del minore e di minima offensività, in tutti quei casi in cui si tratti di reati di scarsa rilevanza sociale, che rappresentano episodi isolati nella vita del reo. Difatti, soprattutto in tali casi, il processo dovrà essere evitato in quanto potrebbe trasformarsi da evento rieducativo e responsabilizzante in momento traumatizzante per una personalità in formazione. L’istituto rappresenta quindi una presa di coscienza del Legislatore del fatto che non sempre il processo del minore autore di reato abbia una valenza pedagogica.
La sospensione del processo con messa alla prova consente, invece, sempre dopo aver verificato l’effettiva responsabilità penale del minore, di osservare, al di fuori dell’ambiente processuale, l’evoluzione che la personalità dell’imputato può intraprendere verso modelli positivi grazie all’aiuto esterno dei servizi sociali o di altri soggetti. Il processo è così sospeso, per un periodo non superiore a tre o un anno, a seconda del reato commesso, e si intraprende un percorso evolutivo in grado di permettere al giudice di valutare la condotta illecita alla luce del suo autore, verificando se esistono le premesse per pronosticare un percorso di crescita tale da giustificare la rinuncia della pretesa punitiva. L’istituto in esame non prevede particolari preclusioni: è difatti astrattamente applicabile ad ogni tipologia di reato, a prescindere dalla gravità, e non è ostacolato da eventuali precedenti penali dell’imputato, da altri provvedimenti sospensivi già concessi, poiché la messa alla prova può essere disposta per un numero illimitato di volte, e finanche da eventuali esiti negativi di precedenti prove concesse nel medesimo o in altro procedimento, in quanto la nuova sospensione potrebbe essere giustificata dal favorevole mutamento delle condizioni personali ed ambientali. Unico requisito richiesto dalla normativa è che il giudicante ritenga “di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova”. Il giudice è così chiamato a compiere un giudizio prognostico sulla personalità dell’imputato all’esito di un periodo di osservazione, trattamento e sostegno idoneo a favorire la rieducazione ed il reinserimento sociale, e quindi sulla concreta possibilità di un cambiamento effettivo che porti il minore a dissociarsi dalla sua scelta deviante.
Durante il periodo di sospensione il minore è affidato ai servizi sociali minorili e destinatario di specifiche prescrizioni impartite dal giudice volte anche a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la riconciliazione con la persona offesa. In questo modo la messa alla prova costituisce il giusto compromesso tra l’esigenza di evitare gli effetti stigmatizzanti relativi al procedimento penale, e la necessità di responsabilizzare il soggetto puntando invece su un provvedimento positivo che contribuisca al corretto sviluppo della personalità del minore. Decorso questo periodo, il giudice, se ritiene che la prova abbia dato esito positivo, tenuto conto del comportamento del minorenne e dell’evoluzione della sua personalità, dichiara con sentenza estinto il reato.
Altro istituto peculiare del processo penale minorile è quello del perdono giudiziale: questo rappresenta una causa di estinzione del reato prevista esclusivamente per i soggetti che commettono un reato tra il quattordicesimo ed il diciottesimo anno di età. Il giudice, pur avendo accertato la responsabilità dell’imputato, può decidere di concedere il perdono giudiziale, e dunque pronunciare sentenza di proscioglimento, qualora la pena in concreto applicabile non sia una pena detentiva superiore nel massimo a due anni di reclusione ovvero una pena pecuniaria superiore ad € 1.549, anche se congiunta a pena detentiva, e a condizione che il colpevole non sia già stato precedentemente condannato a pena detentiva per delitto o dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale. Condizione imprescindibile è poi che il giudice ritenga ragionevolmente, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p., che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati così che la mancata irrogazione della pena contribuisca al suo recupero.
L’istituto del perdono giudiziale comporta una rinuncia alla pretesa punitiva statale nei confronti del minorenne colpevole di un reato, al fine di favorirne un più agevole e rapido recupero sociale.
Come regola generale, il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta a meno che non si tratti, secondo la Corte Costituzionale, di reati legati dal vincolo della continuazione con quello per il quale è stato concesso il perdono o qualora per il nuovo reato per cui si procede, commesso tuttavia prima della sentenza di perdono, la pena prevista, cumulata a quella precedente, non superi comunque i limiti di applicabilità del perdono.
Al di là degli specifici istituti menzionati, appare poi degna di nota la scelta del Legislatore di escludere l’applicabilità nel processo penale minorile dei riti speciali dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, c.d. patteggiamento, e del procedimento per decreto penale di condanna. Anche questa scelta è volta a tutelare l’interesse del minore ed in particolare a garantire un certo contatto tra il minore e gli organi giudiziari che, in tal modo, hanno occasione di comprendere la situazione personale del minore e di valutarne la personalità così che il processo possa rappresentare una vera occasione di crescita e di educazione del minore stesso.
È infine vietata la costituzione di parte civile nel processo penale minorile: il danneggiato potrà far valere le proprie pretese risarcitorie in un separato e apposito giudizio civile, nel quale in ogni caso la sentenza eventualmente emessa dal Tribunale per i Minorenni in sede penale non avrà alcuna efficacia. Anche tale scelta discende dalla volontà del Legislatore di porre l’attenzione centrale sul minore ed a fare in modo che il processo penale costituisca in primis occasione di crescita dello stesso. In ogni caso la persona offesa può marginalmente partecipare al processo penale esercitando le facoltà previste dall’art. 90 c.p.p. tra cui, in particolare, il deposito di memorie difensive e l’indicazione di mezzi di prova.