La responsabilità civile extracontrattuale
Con il presente articolo si intende svolgere una sintetica analisi delle principali norme del codice civile poste a fondamento della responsabilità extracontrattuale da fatto illecito.
Indice dei contenuti
L’ILLECITO CIVILE
L’illecito civile può definirsi come il fatto lesivo di interessi giuridicamente tutelati nella vita di relazione.
Il fatto che arreca ad altri un danno ingiusto si qualifica come illecito in quanto integra la violazione di norme di condotta che impongono doveri di rispetto dei legittimi interessi altrui. Mentre la responsabilità contrattuale sanziona l’inadempimento dell’obbligazione, quale dovere specifico assunto verso un determinato soggetto (il creditore/i creditori), la responsabilità extracontrattuale prevede l’obbligo generico di non ledere i diritti dei consociati (neminem laedere), a prescindere da una specifica obbligazione derivante da contratto.
GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ILLECITO CIVILE
Il principio generale della responsabilità extracontrattuale è sancito dall’art. 2043 c.c.: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Questa norma indica nell’obbligo del risarcimento del danno la fondamentale sanzione della responsabilità extracontrattuale e identifica gli elementi costitutivi dell’illecito civile: 1) fatto; 2) dolo o colpa; 3) il danno ingiusto; 4) il nesso causale tra fatto e danno.
Il fatto
Il fatto è l’evento che causa il danno ingiusto ed è riferibile ad uno o più autori. La vicenda che provoca un danno ingiusto può anche consistere in un evento naturale (es.: inondazione, malattia, aggressione di un animale ecc.), ciò che rileva è che l’evento sia giuridicamente imputabile ad un soggetto che lo ha in qualche modo provocato o che aveva il dovere di impedire.
Il fatto può articolarsi in più fasi, può essere istantaneo o ad effetti permanenti, secondo che si esaurisca nella produzione istantanea del danno o continui a causare il danno nel tempo.
Questi aspetti del fatto, possono rilevare ai fini dell’azione risarcitoria in relazione alla giurisdizione ed al computo della prescrizione, come si dirà in seguito.
Il dolo
ovvero l’intenzionalità del fatto, non è elemento essenziale dell’illecito civile. Ad integrare l’illecito, infatti, è generalmente sufficiente la colpa. Vi sono però ipotesi di illecito in cui il dolo costituisce requisito necessario (es. atto emulativo 833 c.c.).
La colpa
La colpa extracontrattuale può definirsi come l’inosservanza della diligenza dovuta nella vita di relazione, secondo adeguati modelli sociali o professionali di condotta. Si tratta, quindi, di una nozione oggettiva in quanto esprime l’inosservanza di un livello oggettivo di sforzo diligente, quale criterio di responsabilità.
La giurisprudenza, infatti, basa il suo giudizio di colpa sulla non rispondenza del fatto ad uno standard di adeguatezza, misurato secondo criteri sociali e tecnici.
La colpa si specifica negli aspetti della incuria, dell’imprudenza, dell’imperizia e della illegalità.
L’incuria consiste nel difetto dell’attenzione, dello scrupolo, che occorre normalmente nella vita di relazione, o che è specificamente richiesta dall’ufficio, dal ruolo o dall’attività che ricopre il soggetto.
L’imprudenza consiste nel difetto delle misure di cautela idonee a prevenire il danno. Anche in riferimento all’imprudenza si distingue tra inosservanza delle comuni norme di cautela e inosservanza di cautele specifiche, adeguate ad una particolare situazione o attività.
La inidoneità delle cautele va giudicata, quindi, secondo regole di esperienza; regole professionali e norme di legge.
L’imperizia può essere descritta come l’inosservanza delle regole tecniche proprie di una determinata professione. L’inosservanza di tali regole può dipendere dalla carenza di preparazione del soggetto o dalla carenza dei mezzi tecnici impiegati.
L’illegalità si risolve nell’inosservanza delle norme giuridiche che prevedono specifiche misure volte ad evitare o diminuire il pericolo di danni ingiusti. L’osservanza di tali specifiche misure, tuttavia, non esclude la colpa ove sia comunque riscontrabile un difetto nell’osservanza delle comuni regole di prudenza.
I gradi della colpa
La colpa si distingue in lieve (violazione dell’ordinaria diligenza) o grave (violazione della diligenza minima). Ad integrare l’illecito è normalmente sufficiente una colpa lieve, ossia una condotta non conforme alla normale diligenza. Va tenuto presente, comunque, che la normale diligenza è sempre una diligenza di grado elevato. Il riferimento civilistico al buon padre di famiglia e nel campo professionale al buon professionista (1176 c.c.), esprime l’idea non della mediocrità ma di uno standard assumibile a modello di condotta.
In favore del professionista intellettuale è prevista una limitazione di responsabilità ai casi di dolo e colpa grave, quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (2236 c.c.).
La prova della colpa
Come la prova degli altri elementi costitutivi dell’illecito, la prova della colpa è a carico del danneggiato che, anche mediante presunzioni di fatto, deve provare la deviazione dagli standard sociali, professionali o normativi di condotta.
Il danno ingiusto
Danno ingiusto è la lesione di un interesse giuridicamente protetto.
L’effetto dannoso consiste nella ripercussione patrimoniale (nelle distinte forme del danno emergente e del lucro cessante: 1223, 1226 e 2056 c.c.) e non patrimoniale (2059 c.c.) dell’evento nella sfera di interessi del danneggiato.
Il danneggiato, quindi, è portatore di un interesse la cui lesione da parte di terzi comporta l’obbligo di risarcimento previsto dalla legge quale reazione all’illecito.
La determinazione di questi interessi va accertata nel diritto vigente e nella realtà del suo evolversi, anche attraverso gli orientamenti giurisprudenziali.
I principali interessi possono, tuttavia, individuarsi nella tutela dei diritti fondamentali della persona e della proprietà (diritti reali).
E’ bene sottolineare che il fatto lesivo integra già di per sé l’illecito, ancor prima che il danno si sia verificato. Prima di tale momento, infatti, è possibile ricorrere ai rimedi preventivi volti ad inibire il potenziale effetto dannoso. L’obbligo risarcitorio sorge però solo con la produzione del danno.
Il nesso causale
Il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio espresso negli articoli 40 e 41 del codice penale, per cui un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che l’evento di danno non appaia del tutto imprevedibile ed inverosimile alla luce delle migliori conoscenze scientifiche del momento.
L’applicazione di tale principio, tuttavia, va applicato alla fattispecie della responsabilità civile, dove muta la regola probatoria, per cui mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non.
Sussiste, inoltre, l’esigenza di circoscrivere l’area del danno risarcibile alle conseguenze immediate e dirette di esso, secondo quanto previsto dall’art. 1223 c.c., regola dettata in tema di inadempimento ma applicabile anche all’illecito extracontrattuale in forza del rinvio operato dall’art. 2056 c.c.
Infine, trattandosi di requisito costitutivo dell’illecito, la prova del nesso causale è posta a carico del danneggiato e può essere fornita anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici.
Si riportano di seguito alcune massime della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite dove sono chiaramente espressi i principi appena richiamati.
Cassazione civile S.U. n. 581/08:
Ai sensi degli art. 40 e 41 c.p., un evento è da considerarsi causa di un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo; ma l’applicazione di tale principio, temperato dalla regolarità casuale, ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, va applicata alla peculiarità delle singole fattispecie normative di responsabilità civile, dove muta la regola probatoria, per cui mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non.
Cassazione civile S.U. n. 576/08:
Nell’accertamento dell’illecito aquiliano il giudice deve accertare due distinti nessi causali: il primo è quello tra la condotta o l’omissione illecita ed il danno ingiusto inteso quale fatto materiale (c.d. “nesso di causalità materiale”), e va accertato secondo le regole dettate dagli art. 40 e 41 c.p, per effetto dei quali tale nesso di causalità va escluso quando al momento in cui è stata tenuta l’azione o l’omissione l’evento di danno appariva assolutamente imprevedibile ed inverosimile alla luce (non delle conoscenze dell’agente, ma) delle migliori conoscenze scientifiche del momento. Il secondo nesso causale che il giudice deve accertare è quello tra il fatto dannoso nella sua materialità e le conseguenze che ne sono derivate (c.d. “nesso di causalità giuridica”); tale nesso è disciplinato dalle diverse regole di cui agli art. 1223, 1226 e 1227 c.c. (oltre che dell’art. 1225 c.c., in tema di inadempimento contrattuale), ed al contrario del primo non è presupposto essenziale perché sorga la responsabilità del danneggiante, ma ha la più limitata funzione di circoscrivere l’area del danno risarcibile.
Cassazione civile S.U. n.582/08:
In tema di responsabilità extracontrattuale è onere dell’attore provare il nesso causale tra la condotta del convenuto ed il danno, ma tale prova può essere fornita anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici. È dunque consentito al giudice ritenere provata la sussistenza tra la condotta del medico e il danno patito dal paziente, quando la condotta tenuta dal sanitario sia stata astrattamente idonea a produrlo, e non sia possibile ricostruire con esattezza la serie degli eventi a causa della imprecisa tenuta della cartella clinica da parte del sanitario medesimo.
LA RESPONSABILITA’ SOLIDALE
Il principio giuridico della responsabilità solidale posto a garanzia del creditore è espresso nell’art. 2055 co.1 c.c.: Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.
I presupposti
I presupposti della responsabilità solidale, dunque, sono l’unicità del danno e l’imputabilità a più soggetti. Occorre pertanto che vi sia una pluralità di responsabili in relazione al medesimo evento lesivo. E’ sufficiente che il medesimo danno sia imputabile ai vari responsabili, anche se a diverso titolo. Può, dunque, venire in essere responsabilità solidale tra chi risponde a titolo contrattuale e chi risponde a titolo extracontrattuale.
Ove il danno è prodotto da più azioni ciascuna di esse può porsi come concausa qualora abbia concorso alla sua produzione creando un rischio specifico.
La disciplina dei rapporti e il regresso
La disciplina dei rapporti interni ed esterni dei corresponsabili è governata dai principi delle obbligazioni solidali (1292-1313 c.c.).
In applicazione di tali principi il danneggiato può pretendere il pagamento dell’intero nei confronti di uno solo dei coobbligati. Chi ha risarcito il danno può, tuttavia, agire in via di regresso contro gli altri responsabili nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate (2055 co. 2 c.c.).
Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali (2055 co. 3 c.c.).
Sul piano processuale il danneggiato non ha l’onere di agire contro tutti i responsabili e l’eventuale sentenza non fa stato nei confronti di chi è rimasto estraneo al giudizio. Quest’ultimo può, tuttavia, avvalersi della sentenza (1306 c.c.).
Va rilevato, inoltre, che l’azione proposta nei confronti di un responsabile ha effetto interruttivo della prescrizione anche riguardo agli altri debitori.
LE PRINCIPALI ESIMENTI DI RESPONSABILITA’
L’incapacità
L’esimente personale di responsabilità civile espressa dall’art. 2046 c.c. è posta a tutela dell’incapace e rileva anche come causa di annullabilità del contratto: Non risponde delle conseguenze dal fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa.
Caso fortuito e forza maggiore
I due termini indicano l’evento non prevedibile né superabile con la diligenza dovuta. Il caso fortuito evidenzia l’aspetto dell’imprevedibilità la forza maggiore quello dell’irresistibilità. La nozione nell’ambito della responsabilità extracontrattuale coincide con la nozione di causa di impossibilità rilevante nella responsabilità contrattuale.
Stato di necessità
Lo stato di necessità di cui all’art. 2045 c.c. è una situazione di fatto che costringe a ledere il diritto altrui al fine di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato né altrimenti evitabile. I presupposti sono: il pericolo attuale, involontario e inevitabile di un danno grave alla persona, da intendersi come violazione di diritti fondamentali; la strumentalità e la proporzionalità del fatto dannoso rispetto alla salvezza. L’esimente è applicabile anche in presenza di un pericolo putativo, ovvero, una condizione di pericolo inesistente che per errore scusabile (attraverso l’applicazione dei normali criteri di diligenza) il soggetto reputa reale. La norma prevede, come esigenza di equità sociale, l’obbligo di indennizzare il danneggiato, la misura dell’indennizzo è rimessa all’equo apprezzamento del giudice. La prova dell’esimente è posta a carico di chi la invoca.
Legittima difesa
Ai sensi dell’art. 2044 co. 1 c.c. non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri. I presupposti sono: a) il pericolo attuale ed inevitabile di un danno ingiusto, da intendersi come minaccia alla persona o ai beni di sé o di un terzo; b) l’aggressione di colui nei cui confronti la difesa è esercitata, il ché significa che la difesa per essere legittima deve essere esercitata esclusivamente nei confronti dell’aggressore (chi arreca danno ad un terzo estraneo non può invocare la legittima difesa ma, se del caso, lo stato di necessità); c) la strumentalità e proporzionalità della difesa.
La prova dei presupposti è onere di chi invoca la legittima difesa.
LE RESPONSABILITA’ SPECIALI
A parte le ipotesi di responsabilità per fatto altrui le varie figure di responsabilità speciale presentano in comune l’elemento della pericolosità, di attività o cose, dotate di intrinseca potenzialità dannosa. Le varie figure si distinguono in ipotesi di responsabilità aggravata, caratterizzate dalla presunzione di responsabilità superabile esclusivamente con la prova del caso fortuito, ed ipotesi di responsabilità oggettiva ove l’obbligo risarcitorio sembra prescindere da ogni valutazione di colpa.
Sono ipotesi di responsabilità aggravata la responsabilità:
Dei genitori (2048 co.1 c.c.)
Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante
Degli insegnanti (2048 co. 2 c.c.)
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Del sorvegliante per il fatto dell’incapace (2047 co.1 c.c.)
In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
Per esercizio di attività pericolose (2050 c.c.)
Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Per danno da cose in custodia (2051 c.c.)
Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Per danno da animali (2052 c.c.)
Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.
Ipotesi di responsabilità oggettiva, per fatto altrui, è considerata la responsabilità dei preponenti di cui all’art. 2049 c.c.: I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
In tal caso l’obbligo di risarcire il danno arrecato dai preposti prescinde da ogni valutazione di colpa. Escluso ogni richiamo alla colpa, il fondamento della responsabilità può essere ravvisato nell’appropriazione dell’attività del preposto da parte del preponente. Ipotesi principale di preposizione è il lavoro subordinato. La responsabilità del preponente si concretizza quindi principalmente come responsabilità dell’imprenditore, l’appropriazione dell’attività altrui può sussistere però anche al di fuori dello schema del lavoro dipendente. Il rapporto di preposizione può essere riscontrato, infatti, nel caso di prestazioni d’opera o di servizi in cui il committente si riservi un potere direttivo sull’incaricato.
Su questa linea il rapporto di preposizione, normalmente, è escluso in caso di appalto o di prestazione d’opera intellettuale, in quanto di regola l’appaltatore ed il professionista si obbligano ad eseguire la prestazione nell’ambito della loro autonomia decisionale ed organizzativa, salvo che il danno scaturisca dall’esecuzione di determinate istruzioni o si tratti di soggetti inseriti nell’organizzazione del cliente.
Possono configurarsi come figure complesse di responsabilità oggettiva e aggravata:
la responsabilità per danni da circolazione di veicoli (art. 2054 c.c.) (1)
Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli (2).
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
(1) la materia va coordinata anche con le disposizioni del codice delle assicurazioni private, d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 e ss. modifiche ed integrazioni);
(2) La Corte cost., con sentenza 29 dicembre 1972, n. 205 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma «limitatamente alla parte in cui nel caso di scontro tra veicoli esclude che la presunzione di egual concorso dei conducenti operi anche se uno dei veicoli non abbia riportato danni»;
la responsabilità per danni da rovina di edificio 2053 c.c.
Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.
LA PRESCRIZIONE
E’ importante ricordare che il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato (2947 co. 1 c.c.).
Dunque, in generale, il codice civile prevede un termine breve di prescrizione quinquennale per responsabilità extracontrattuale, contrapposto all’ordinario termine decennale previsto per la responsabilità derivante da contratto (2946 c.c.).
Al secondo comma dell’art. 2947 c.c. è prevista un’ulteriore riduzione del termine prescrizionale, a due anni, per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie.
In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato [150 ss. c.p.] o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile [576 c.p.p.]. (2947 co. 1 c.c.).
Si indicano, infine, alcune importanti massime della Suprema Corte sull’accertamento del termine di decorrenza iniziale della prescrizione (dies a quo) in materia di danno da contagio, danno ambientale ed esondazione. Cassazione Civile S.U. n. 576/2008 (già richiamata): “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli art. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.”;
Cassazione Civile , S. III n. 3259/2016:
“In materia di danno ambientale, la condotta antigiuridica consiste nel mantenimento dell’ambiente nelle condizioni di danneggiamento, sicché il termine prescrizionale dell’azione di risarcimento inizia a decorrere solo dal momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal danneggiante, ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita incolpevole della disponibilità del bene da parte di quest’ultimo.”.
Cassazione civile , S.U. n. 2146/2021:
Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento preteso, nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dai soggetti danneggiati dall’esondazione di un fiume decorre dal giorno in cui gli stessi hanno avuto la conoscenza (o la conoscibilità) tecnico-scientifica dell’incidenza causale delle carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche.
LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
Responsabilità patrimoniale
Ai sensi dell’art. 2740 co. 1 c.c. il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
La responsabilità patrimoniale può, pertanto, definirsi come la soggezione del patrimonio del debitore al diritto di soddisfacimento coattivo dei creditori, attuabile con l’espropriazione forzata.
Limitazione della responsabilità patrimoniale
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge (2740 co. 2 c.c.).
Tali limitazioni (o vincoli) sono previste in ragione della particolare natura e funzione dei beni, ne sono esempio le limitazioni all’esproprio previste dalla diritto processuale in tema di beni e crediti assolutamente o relativamente impignorabili.
Analoghe limitazioni sono indicate nella normativa fallimentare e dalle norme del codice civile che sottraggono beni e crediti all’esecuzione forzata.
A fondamento delle suddette ipotesi vi è una comparazione di interessi in favore del debitore rispetto al diritto del creditore di veder soddisfatto il proprio credito.
Limiti in favore dell’erede, del legatario e del donatario
Sono previsti in considerazione dell’interesse di questi soggetti a contenere l’impegno debitorio derivante dalla successione e dalla donazione. L’erede che accetta con beneficio di inventario, infatti, non risponde coi propri beni ma solo con i beni ereditari. Analoghe disposizioni sono previste dal codice civile in favore del legatario e del donatario.
Il principio di pari trattamento dei creditori
I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore salve le cause legittime di prelazione (2740 co. 2 c.c.).
In questi termini è espresso il generale principio di pari trattamento dei creditori (par condicio creditorum) i quali hanno eguale diritto di garanzia sui beni del debitore, a prescindere dalla causa e dalla anteriorità del credito e fatte salve le legittime cause di prelazione, ovvero titoli idonei per legge ad attribuire un diritto preferenziale di soddisfacimento in favore di determinate categorie di creditori privilegiati.