Le obbligazioni
LE OBBLIGAZIONI (ARTT. 1173 SS. C.C.)
L’obbligazione è quel tipo di rapporto fra (almeno) due soggetti in forza del quale un soggetto passivo (il debitore) è tenuto ad eseguire in favore di un soggetto attivo (il creditore) una determinata prestazione. Oltre alla posizione di debito del soggetto passivo, si viene a formare anche una posizione di credito in capo al soggetto attivo, che potrà vantare un diritto di credito. Tale nozione è in aperta contrapposizione con quella di diritto reale perché, mentre quest’ultimo ha il carattere dell’assolutezza (può essere fatto valere, cioè, nei confronti di chiunque), il diritto di credito è un diritto relativo, che produce i suoi effetti solamente nei confronti di un determinato soggetto. Se, infatti, il diritto reale è un diritto sulla cosa, il diritto di credito è un diritto nei confronti di un soggetto. A tal proposito è bene precisare che esistono anche delle obbligazione c.d. reali in cui il soggetto titolare del rapporto obbligatorio viene individuato in base al soggetto che è titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su un determinato bene (come nel caso delle spese condominiali, che spettano a chi abbia la proprietà degli appartamenti che compongono il condominio).
Fonti dell’obbligazione
L’art. 1173 c.c. indica quelle che sono le fonti delle obbligazioni. Riprendendo la norma, rientrano fra queste:
– il contratto;
– il fatto illecito;
– ogni altro atto o fatto idoneo.
Se, dunque, le prime due categorie di fonti vengono espressamente indicate dalla norma, lo stesso non accade per il terzo gruppo. In quest’ultimo rientrano sia le fonti di obbligazioni indicate espressamente dalla legge, ma non contenute nell’art. 1173 c.c. (c.d. fonti nominate, fra cui i titoli di credito o le promesse unilaterali), sia quelle non previste espressamente come fonti di obbligazione, ma i cui effetti sono ritenuti idonei alla produzione di un’obbligazione (c.d. fonti innominate, fra cui il testamento, il contatto sociale qualificato e gli atti leciti dannosi).
Inquadramento oggettivo
Prima di passare in rassegna le fonti delle obbligazioni e i soggetti delle stesse, si deve procedere ad un’analisi del termine prestazione, vale a dire dell’oggetto del rapporto obbligatorio, senza il quale la nozione di obbligazione non può essere esaustivamente compresa. La prestazione, infatti, contiene in sé due anime: da un lato, deve avere una sua patrimonialità, ossia deve essere suscettibile di valutazione economica; dall’altro, deve rispondere ad un interesse del creditore. Questo secondo elemento può essere scevro di qualunque connotazione patrimoniale, potendo rispondere ad interessi, per esempio, di tipo culturale o religioso.
A seconda del contenuto della prestazione dovuto, si distingueranno diversi tipi di obbligazione:
– obbligazione di dare, aventi ad oggetto il trasferimento del diritto su di un bene;
– obbligazione di facere, in cui il debitore è tenuto al compimento di una determinata attività materiale;
– obbligazione di non facere, con cui il debitore si impegna ad osservare una determinata condotta omissiva (che può essere sia un non dare che un non facere).
Inoltre è necessario distinguere fra prestazioni fungibili, nelle quali non sono rilevanti l’identità e le qualità personali del soggetto, e infungibili, se per l’adempimento è richiesto un determinato soggetto per le sue capacità e qualità specifiche (l’esempio di scuola è quello di un concerto: il creditore ha interesse che la performance canora sia eseguita dall’artista per il quale ha acquistato il biglietto e non dal quisque de populo).
Una stessa obbligazione, inoltre, può prevedere una o più prestazioni con effetto liberatorio per il debitore. Se, infatti, nelle c.d. obbligazioni semplici vi è un’unica prestazione, nelle c.d. obbligazioni alternative ci sono due o più prestazioni principali, ma è sufficiente l’adempimento di una sola di esse per liberare il debitore. Simili a quest’ultima categoria, ma da tenere distinta, è quella delle obbligazioni facoltative, in cui la prestazione principale è una sola, ma viene lasciata al debitore la facoltà di liberarsi eseguendone un’altra. Non bisogna confondere queste due tipologie perché sono diverse le conseguenze in caso di impossibilità dell’obbligazione principale: se diventa impossibile una delle prestazioni alternative, l’obbligazione non si estingue, essendo possibili ancora le altre prestazioni principali; se, invece, diviene impossibile l’unica prestazione principale (e solo quella principale) di un’obbligazione facoltativa, questa si estingue, non rilevando se la prestazione facoltativa sia ancora possibile.
Sembra invece superata (o comunque utile solo ad una classificazione teorica) la distinzione fra obbligazioni di mezzi, in cui il debitore deve svolgere una determinata attività, senza tuttavia garantire un determinato risultato finale, ed obbligazioni di risultati, in cui il debitore deve conseguire un risultato prestabilito (si porta, di solito, l’esempio del contratto di appalto). Questo perché la giurisprudenza ha giustamente rilevato che entrambi i tipi di obbligazione richiedono sia un certo comportamento nell’adempimento dell’obbligazione (il cui soddisfacimento dipende solitamente dal grado di diligenza del debitore) sia un risultato minimo da conseguire; ovviamente queste due componenti avranno una diversa modulazione a seconda del tipo di obbligazione di appartenenza, ma ciò non è sufficiente per prevedere una disciplina differenziata o per far sorgere una qualche conseguenza pratica da tale distinione.
Inquadramento soggettivo
Dal punto di vista soggettivo, abbiamo già detto come vi sia una parte debitrice ed un’altra creditrice, ma non necessariamente i soggetti a cui fa capo l’obbligazione devono essere solamente due. In quest’ultimo caso si forma un’obbligazione c.d. semplice. Tuttavia è possibile che vi siano più creditori o più debitori in una medesima obbligazione, circostanza che dà vita ad un’obbligazione c.d. plurisoggettiva. In questi casi, dunque, non si hanno più obbligazioni dovute o da più soggetti o in favore di più soggetti, ma l’obbligazione rimane unitaria, potendo al limite essere ripartita fra i debitori o fra i creditori. Le obbligazione plurisoggettive si classificano in base alla sussistenza della solidarietà nel loro adempimento. Si distingue fra:
– obbligazioni solidali, che sussistono o quando ogni debitore chiamato ad adempiere dal creditore è tenuto a corrispondere l’intera prestazione con effetto liberatorio per gli altri condebitori (c.d. obbligazioni solidali passive), fatta salva la possibilità per il debitore adempiente di rivalersi sugli altri condebitori, o quando ogni creditore può richiedere la prestazione nella sua interezza all’unico debitore, estinguendosi così l’obbligazione (c.d. obbligazioni solidali attive), salvo poi il diritto degli altri concreditori di ottenere la propria parte di credito dal creditore adempiuto;
– obbligazioni parziarie, che si configurano o quando ciascuno dei debitori si libera corrispondendo al creditore solo la propria parte di un’obbligazione unitaria (c.d. obbligazioni parziarie passive) o quando ogni creditore ha diritto solamente alla propria parte di credito e non al suo intero (c.d. obbligazioni parziarie passive).
Questa distinzione ha una grande rilevanza pratica, in quanto l’art. 1294 c.c. precisa che, salvo diversa pattuizione, in presenza di più condebitori vi è una presunzione di solidarietà, mentre nel caso di una pluralità di concreditori non vi è tale presunzione, ritenendosi al contrario che la solidarietà sussista solamente nei casi previsti dalla legge.
Il regime di solidarietà, tuttavia, non fa venir meno i singoli profili “personali” dei condebitori. Nel caso in cui, infatti, un debitore possa sollevare eccezioni personali (strettamente inerenti il rapporto fra il singolo condebitore ed il creditore), le stesse non potranno essere opposte dagli altri condebitori. Nel caso, invece, di eccezioni comuni, inerenti l’intero rapporto obbligatorio, queste potranno essere fatte valere da tutti gli obbligati.
La solidarietà delle obbligazioni plurisoggettive può essere condizionata dalla natura di alcuni tipi di obbligazione. Vi sono infatti alcune obbligazioni (c.d. indivisibili) che non possono essere oggetto di adempimento parziale, casi in cui all’obbligazione non potrà che applicarsi il regime di solidarietà ex art. 1294, essendo ontologicamente impossibile fare diversamente.
Obbligazioni pecuniarie (artt. 1277 ss. c.c.)
Fra le differenti tipologie di obbligazioni, un ruolo preminente viene occupato da quelle pecuniarie, sia per la peculiarità della loro disciplina sia per la rilevanza che queste hanno nel mercato. In forza di tale obbligazione il debitore è tenuto a dare al creditore una somma di denaro. Tale cifra deve essere pagata con moneta avente corso legale nel nostro Paese al momento del pagamento. Nel caso l’importo fosse stato indicato con moneta non avente più corso legale al momento del pagamento (ad esempio in lire), si dovrà operare la conversione del valore della prestazione con la valuta corrente. Il debito può essere indicato anche in moneta estera e, a meno che non sia diversamente previsto dal titolo, il pagamento può essere legittimamente effettuato.
Nel corso degli anni si è assistita ad un’evoluzione sostanziale circa i metodi di pagamento ritenuti ammissibili e, soprattutto, liberatori per il debitore. Il principio generale espresso dalla giurisprudenza (vedi, ad esempio, Cass. 1572/2019) è che i mezzi di pagamento utilizzabili dal debitore per estinguere la propria obbligazione sono tutti quelli che garantiscano gli stessi effetti di un pagamento in contanti (quindi assicuri la disponibilità della somma dovuta). In particolare, si ritiene che il debitore si liberi qualora paghi mediante assegno bancario o circolare; in questo caso, il creditore può rifiutare il pagamento solamente se alleghi e/o dimostri un giustificato motivo che legittimi il suo diniego. Allo stesso modo, non può rifiutarsi un pagamento in contanti il cui importo sia inferiore a Euro 3.000,00 (tremila), la cui consegna ha comunque effetti liberatori per il debitore.
Proprio per la sua diffusione e per il fatto che il denaro sia il bene fungibile per eccellenza, può accadere, per diversi motivi, che un’obbligazione, che inizialmente era di altro tipo, diventi pecuniaria. In questo caso si dovrà tradurre il valore della prestazione originaria in moneta e si parla di obbligazione di valore. Qualora, invece, l’obbligazione sia ab origine di tipo pecuniario si parla di obbligazione di valuta.
Questa classificazione rileva per quanto riguarda il c.d. principio nominalistico (applicabile solo alle obbligazioni di valuta). L’interrogativo che, infatti, talvolta ci si pone è se un’obbligazione pecuniaria, il cui adempimento è previsto dopo un certo lasso di tempo, debba fare riferimento al suo valore nominale, ossia quello numericamente espresso, senza tener conto di un’eventuale inflazione, oppure del suo valore reale, quello che tiene conto di possibili fenomeni di svalutazione e rivalutazione monetaria. Il nostro ordinamento, precisamente all’art. 1277 c.c., sposa il menzionato principio nominalistico, in forza del quale sarà dovuta la somma così come numericamente espressa, senza tener conto di tutti i fattori esterni appena citati. È bene precisare che, nel caso in cui le parti non vogliano accollarsi il rischio di essere penalizzate da eventuali fenomeni inflattivi, è possibile inserire nei propri contratti delle clausole di indicizzazione, che permettono di rivalutare l’importo dovuto secondo parametri predeterminati (su tutti gli indici ISTAT).
Nel caso di obbligazione di valore, vi sono maggiori dubbi circa il metodo per calcolare la sua liquidazione. L’operazione attualmente preferita prevede una quantificazione del valore dell’obbligazione al momento in cui è sorta (c.d. aestimatio) e la rivalutazione secondo gli indici ISTAT di variazione del costo della vita (c.d. taxatio), fatto salvo ogni profilo di liquidazione di eventuale danno da ritardo nell’adempimento. In alternativa si potrà calcolare il valore attuale dell’obbligazione da liquidare.
Gli interessi
Altro elemento tipico sono gli interessi, che costituisco un’obbligazione accessoria rispetto a quella principale, in forza del quale il debitore deve pagare una determinata somma di denaro, di solito percentualmente prestabilita secondo determinati parametri, legati al trascorrere del tempo fra il perfezionamento del negozio da cui sorge l’obbligazione e il suo adempimento. In alcuni casi gli interessi costituiscono il prezzo per una determinata prestazione, come avviene nei contratti di mutuo, nei quali gli interessi costituiscono la somma che il mutuante guadagna dal prestito erogato al mutuatario. Ci si riferisce a questi interessi come ad interessi corrispettivi, per distinguerli da quelli compensativi, dovuti a titolo di “compensazione” per il mancato adempimento tempestivo dell’obbligazione (che può dipendere anche dalla natura della prestazione), e da quelli moratori, dovuti quando il debitore è in mora.
A seconda della propria fonte, gli interessi possono essere legali, quando sono previsti direttamente dalla legge, e convenzionali, se sono previsti dalle parti del negozio dal quale sorgono.
Per quantificare gli interessi dovuti si ricorre di solito ad una misura percentuale predeterminata (il c.d. tasso o saggio di interesse), che va applicata all’obbligazione principale. Anche in questo caso il tasso può essere legale (prestabilito dalla legge ex art. 1284 c.c., fissato in misura pari al 5% in ragione d’anno, fatta salva diversa previsione del Ministro dell’Economia e delle Finanze) o convenzionale. Nel primo caso è previsto un tasso più alto nel caso di interessi moratori, mentre ai debitori pecuniari che resistono in giudizio solamente per procrastinare il momento del loro adempimento si applicherà automaticamente un tasso dell’8% (previsione questa dalla chiara finalità deflattiva).
Nel caso di tasso di interesse convenzionale la legge prevede che questo non possa essere superiore di quattro punti percentuali al Tasso Effettivo Globale Medio (T.E.G.M.) degli interessi praticati da banche e intermediari finanziari nella categoria di operazioni di riferimento, maggiorato poi del 25%, e comunque mai superiore all’8%. Nel caso in cui il c.d. tasso soglia dovesse essere superato, il tasso viene ritenuto usurario. In questo caso, come stabilito dall’art. 1815 c.c., la clausola che prevede gli interessi usurari è nulla e non è dovuto alcun interesse. Si segnala inoltre che l’art. 644 c.p. statuisce che gli interessi possono essere usurari anche quando, pur non superato il predetto limite, il tasso di interesse appaia comunque sproporzionato rispetto alla prestazione di denaro, oltre al caso in cui le modalità di restituzione del prestito siano esse stesse usurarie.
Quanto agli interessi anatocistici, cui spesso si fa riferimento come “interessi sugli interessi”, che maturerebbero su degli interessi scaduti, questi non sono dovuti a meno che non intervenga un’apposita domanda giudiziale finalizzata al loro conseguimento o una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi primari.
La presenza di un capitale, di interessi e spese ulteriori ha spinto il legislatore a disciplinare l’imputazione delle somme pagate dal debitore. L’art. 1194 c.c. precisa infatti che il pagamento debba essere imputato prima agli interessi ed alle spese e poi al capitale, a meno che non vi sia il consenso del creditore stesso per fare diversamente.
ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
L’estinzione dell’obbligazione può avvenire in diversi modi. Se la principale modalità estintiva del rapporto obbligatorio è senza dubbio l’adempimento, in quanto garantisce il soddisfacimento del creditore così come originariamente previsto dall’obbligazione stessa, il nostro ordinamento prevede alcuni casi in cui l’estinzione ha luogo pur non essendoci stato l’esatto adempimento. Un primo caso è quello della morte del debitore, laddove però la prestazione da lui dovuta fosse infungibile. Quanto invece agli altri modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, questi sono: l’impossibilità sopravvenuta, la compensazione, la novazione, la remissione e la confusione. Tutte queste modalità estintive verranno di seguito passate in rassegna.
ADEMPIMENTO
Il modo di estinzione che il nostro ordinamento cerca primariamente di garantire è quello dell’esatto adempimento della prestazione dovuto. “Esatto” perché un adempimento parziale non estinguerebbe l’obbligazione; inoltre la proposta di adempimento parziale può essere legittimamente rifiutata dal creditore senza essere messo in mora (vd. mora credendi), a meno che il suo rifiuto non sia contrario a buona fede, elemento fondamentale che entrambe le parti devono rispettare al fine di garantire il regolare svolgimento della prestazione. La sua rilevanza nei rapporti obbligatori è cresciuta a tal punto che l’evoluzione giurisprudenziale più recente è arrivata a sostenere che il suo rispetto (tanto da parte del debitore che del creditore) costituisca un’obbligazione autonoma il cui “inadempimento” è sanzionabile con un’azione risarcitoria indipendente rispetto a quella per l’inadempimento della prestazione principale.
Oltre a dover sussistere la buona fede, al debitore è richiesto un certo grado di diligenza nell’adempimento, diligenza senza la quale non sarebbe possibile soddisfare le pretese creditorie. L’art. 1176, co. 1, c.c. quantifica il grado di diligenza in quella del “buon padre di famiglia”, tuttavia il successivo comma 2 specifica che a seconda del tipo di attività da svolgere e dalle qualità personali del soggetto, può essere richiesto al debitore un diverso grado di diligenza, come avviene per esempio per i prestatori d’opera intellettuale (artt. 2229 ss. c.c.). Il differente grado di diligenza richiesto può avere ripercussioni anche sul profilo della responsabilità del debitore, che potrebbe risultare attenuata a seconda della maggiore o minore diligenza richiesta. Tuttavia è bene precisare che, sebbene le parti possano prevedere una rimodulazione della diligenza richiesta, queste non possono mai escludere o limitare la responsabilità del debitore derivante da dolo o colpa grave (art. 1229 c.c., principio richiamato, ad esempio, dall’art. 2236 c.c. in materia di prestatore d’opera intellettuale).
Nel concetto di esatto adempimento, fra l’altro, rientra anche l’individuazione del corretto destinatario della prestazione dovuta. Pertanto l’adempimento effettuato nei confronti di un soggetto diverso dal creditore non libera il debitore, a meno che, in buona fede e sulla base di circostanze univoche, il soggetto che lo ha ricevuto non apparisse essere il creditore (c.d. creditore apparente ex art. 1189 c.c.). Lo stesso principio vale nel caso di rappresentante apparente del creditore, che si presenti come legittimato a ricevere l’adempimento; tuttavia in questo caso il debitore, per liberarsi, dovrà provare che il suo erroneo convincimento sia dipeso anche da un comportamento colposo del creditore stesso.
Quest’ultima tematica si riallaccia ad un altro tema di fondamentale importanza circa l’adempimento dell’obbligazione. Se finora, infatti, si è parlato principalmente del comportamento che il debitore deve tenere, non bisogna trascurare il fatto che – come già accennato – la cooperazione del creditore abbia la medesima importanza (come già accennato). Il creditore, infatti, non deve rendere troppo complicata l’adempimento, tenendo un contegno improntato alla correttezza e alla buona fede ex art. 1175 c.c.. Fra le condotte più contestate vi sono l’eccessivo frazionamento del credito e il rifiuto di offerta della prestazione (intera) senza giustificato motivo.
Quest’ultima circostanza, in particolare, espone il creditore alla mora credendi, il cui principale effetto è quello di far ricadere sul creditore stesso le conseguenze di un’eventuale impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione. Tuttavia non ogni offerta mette in mora il creditore, ma solamente quella solenne (effettuata cioè da un pubblico ufficiale) e quella secondo gli usi sono utili a tal fine. Fra l’altro la messa in mora non estingue l’obbligazione, a meno che vengano dichiarati validi con sentenza passato in giudicato il deposito (di cose mobili) o la consegna ad un sequestratario nominato dal tribunale (di beni immobili).
A seguito dell’adempimento il debitore può richiedere al creditore una dichiarazione di scienza (c.d. quietanza) con cui quest’ultimo afferma di aver ricevuto l’adempimento. Tale istituto, previsto dall’art. 1199 c.c., ha un importante valore documentale, in quanto ha valore di prova documentale precostituita che, per la giurisprudenza, ha una natura assimilabile a quella della confessione stragiudiziale.
Luogo dell’adempimento (art. 1182 c.c.)
L’adempimento ovviamente deve avvenire anche nel giusto luogo che, di norma, è indicato dal titolo, dagli usi o dalla natura della prestazione. Qualora questo non sia così desumibile, si dovrà ricorrere alle regole suppletive prevista dal legislatore all’art. 1182 c.c., che prevedono, in particolare:
– che l’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel luogo in cui la cosa si trovava al momento in cui è sorta l’obbligazione;
– che l’obbligazione che ha per oggetto il pagamento di una somma di denaro va effettuata al domicilio del creditore (c.d. obbligazioni “portables” o al portatore) o alla Tesoreria dell’ente debitore in caso di pagamento dovuto da parte della P.A.;
– che le obbligazioni diverse da queste devono essere adempiute al domicilio del debitore (c.d. obbligazioni “quérables”).
Come si vedrà in seguito, tale distinzioni ha rilevanti ripercussioni nella disciplina della mora del debitore (c.d. mora debendi).
Tempo dell’adempimento (artt. 1184 ss. c.c.)
Oltre ai profili oggettivi, soggettivi e al luogo dell’adempimento, anche la componente temporale dell’obbligazione ha rilevanza affinché si configuri l’adempimento. Anzitutto il tipo di obbligazione può far sorgere tipi di adempimento diversi, in quanto un’obbligazione c.d. di durata (ad esecuzione continuata o periodica) richiederà di indicare un momento iniziale ed uno finale della prestazione dovuta, mentre una ad esecuzione istantanea, ad esecuzione differita o ad esecuzione periodica (il pagamento di un canone di locazione) esigerà la determinazione del giorno in cui (o entro il quale) adempiere.
Tale termine solitamente è indicato nel titolo costitutivo dell’obbligazione, anche se la semplice indicazione del dies solutionis non esaurisce la disciplina in questione. Infatti il termine può essere posto:
– a favore del debitore, in modo che la prestazione non possa essere richiesta dal creditore prima del termine stabilito ma possa essere eseguita prima dal debitore (cd. prestazione inesigibile ma eseguibile);
– a favore del creditore, in modo che la prestazione non possa essere eseguita dal debitore prima del termine ma possa essere richiesta dal creditore prima dello stesso (c.d. prestazione esigibile ma ineseguibile);
– a favore di entrambi, quando la prestazione è inesigibile ed ineseguibile prima del termine.
Nel caso non sia espressamente previsto a favore di chi sia posto il termine, questo si presume essere a favore del debitore (art. 1184 c.c.), seguendo il generale principio di favor debitoris che permea il nostro ordinamento.
Se invece nel titolo non è previsto alcun termine e questo non è desumibile in altro modo, vige il principio di immediata esigibilità della prestazione (art. 1183 c.c.). Ovviamente, laddove il tipo di prestazione renda impossibile l’immediata esecuzione della stessa, potrà essere richiesta la fissazione di un termine di adempimento in sede giudiziale.
Adempimento del terzo (art. 1180 c.c.)
Quando la prestazione è fungibile, il creditore che si veda proposto l’adempimento da un terzo, che interviene in modo libero e spontaneo al posto del debitore, non può rifiutarlo legittimamente, cadendo altrimenti in mora. Solamente se il debitore ha comunicato al creditore la propria opposizione all’adempimento del terzo, il rifiuto è legittimo.
Detto che solitamente il terzo agisce in accordo con il debitore, una volta che ha adempiuto in luogo di quest’ultimo potrà rivalersi su di esso con l’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c., subentrando inoltre nella posizione creditoria nei confronti del debitore.
Pagamento con surrogazione (artt. 1201 ss. c.c.)
Può anche accadere che il pagamento di una prestazione possa essere effettuato ad un altro creditore in luogo di questo originale. Questa sostituzione, che dà luogo ad una successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio, può avvenire per volontà del creditore, del debitore (mutuante del debitore sostituito al creditore) o per disposizione legislazione (per esempio nei casi di fideiussione ed assicurazione).
Prestazione in luogo di adempimento (c.d. datio in solutum, art. 1197 c.c.)
Se la prestazione offerta del debitore non è quella prevista dall’obbligazione, il creditore può sempre rifiutarla legittimamente. Tuttavia il nostro ordinamento prevede anche la possibilità che questa possa essere accettata dal creditore in luogo di quella originariamente dovuta, con effetto liberatorio per il debitore. In questo caso si ha la c.d. datio in solutum. Ciò è possibile a prescindere che la prestazione sia un facere, un non facere o un dare (in quest’ultimo caso, sarà necessario garantire per l’evizione ed i vizi della cosa data).
L’effetto solutorio, tuttavia, non si produce al momento dell’accettazione della prestazione diversa, bensì solamente al momento della sua esecuzione. Il consenso del creditore, infatti, è sufficiente solamente a dare al debitore la facoltà di estinguere l’obbligazione attraverso una prestazione diversa da quella originariamente prevista.
MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO
Come già detto, in presenza di particolari circostanze l’ordinamento accorda la possibilità di estinguere l’obbligazione in maniera diversa rispetto all’esatto adempimento. Di seguito si passano in rassegna tali diverse modalità di estinzione dell’obbligazione.
Confusione (artt. 1253 ss. c.c.)
Può accadere che il creditore e il debitore di una determinata obbligazione finiscano per identificarsi in una stessa persona. È il caso, per esempio, del creditore che diventa erede del debitore. Quando ciò accade, l’obbligazione è estinta per confusione.
Compensazione (artt. 1241 ss. c.c.)
Fra due individui potrebbero intercorrere più rapporti obbligatori reciproci, nei quali i due soggetti si alternano nei ruoli di creditore e debitore. In altre parole, si vengono a formare reciproci ed autonomi rapporti di debito e credito fra loro compensabili; qualora, infatti, tali posizioni derivassero da un medesimo rapporto, si avrebbe la c.d. compensazione impropria o atecnica. Nei casi in cui, invece, tali rapporti siano autonomi vi è la possibilità, nei casi e alle condizioni che vedremo, di dar luogo a compensazione. È bene premettere che non tutti i tipi di obbligazioni possono essere oggetto di compensazione. L’art. 1246 c.c. stabilisce quali sono i casi in questione, lasciando inoltre aperto il catalogo delle obbligazioni non compensabili al n. 5, che prevede che le obbligazioni non possono essere oggetto di compensazione in tutti casi espressamente previsti dalla legge (come, ad esempio, gli alimenti).
Il nostro ordinamento conosce tre tipi di compensazione:
– la compensazione legale, che si può far valere in giudizio (senza che possa essere rilevata d’ufficio) e viene dichiarata con sentenza con effetti ex tunc (dal momento della coesistenza fra i debiti reciproci) quando i crediti reciproci abbiano i caratteri dell’omogeneità, ossia dello stesso tipo di beni fungibili (entrambi di denaro), della liquidità, ossia devono essere già determinati nel loro ammontare, e dell’esigibilità, cioè debbono essere suscettibili di richiesta di immediato adempimento;
– la compensazione giudiziale, quando in sede di giudizio sia opposto un controcredito omogeneo, esigibile ma non liquido (ma comunque di facile e pronta liquidazione);
– la compensazione volontaria, rimessa alla libertà negoziale delle parti e possibile anche in assenza dei requisiti richiesti per gli altri tipi di compensazione.
Novazione (artt. 1230 ss. c.c.)
La novazione consiste in un contratto mediante il quale le parti di un’obbligazione sostituiscono il rapporto obbligatorio originario con uno nuovo, comportando l’estinzione di quella precedente. La novazione può essere soggettiva, allorquando viene sostituita la persona del debitore (secondo la disciplina di delegazione, espromissione e accollo), ed oggettiva, quando viene cambiato l’oggetto dell’obbligazione.
Nei casi di novazione oggettiva devono concorrere tre presupposti:
– la modificazione sostanziale dell’oggetto della prestazione, che non deve esaurirsi nella semplice aggiunta di un aliquid novi o in una modificazione irrilevante (requisito oggettivo);
– la comune ed inequivoca volontà delle parti da un lato di voler estinguere la vecchia obbligazione e, dall’altro, di volerla sostituire con una nuova (il c.d. animus novandi, requisito soggettivo);
– l’interesse comune delle parti nel porre in essere la novazione (c.d. causa novandi, requisito strutturale).
Può accadere che la novazione avvenga sulla base di un’obbligazione originaria inesistente o nulla; in questi casi la novazione manca di causa ed è priva di effetti. Se invece sorge da un’obbligazione annullabile, gli effetti sono salvi a patto che il debitore fosse a conoscenza del vizio.
Remissione (artt. 1236 ss. c.c.)
Il creditore può anche decidere di rinunciare (totalmente o parzialmente) al proprio credito. In questo caso può porre in essere un negozio unilaterale recettizio (la remissione, appunto) per formalizzare tale rinunzia. Entro un termine congruo, comunque, il debitore può dichiarare di non volerne profittare.
Tuttavia vi sono casi in cui non è richiesto tale negozio per potersi avere la remissione, potendosi anche configurare una remissione tacita laddove possa essere desunta da manifestazione tacite di volontà o da un comportamento concludente. Inoltre l’art. 1237 c.c. stabilisce una presunzione assoluta di remissione laddove il creditore effettui la restituzione del titolo da cui sorge il credito a favore del debitore.
Impossibilità sopravvenuta (art. 1256 ss. c.c.)
La prestazione oggetto dell’obbligazione può risultare impossibile per una situazione impeditiva. Se tale situazione è presente sin dalla nascita del rapporto obbligatorio, avremo un’impossibilità originaria che non fa sorgere l’obbligazione. Se, invece, sorge in un secondo momento in maniera non prevedibile e, soprattutto, non superabile dal normale sforzo del debitore, si ha un’impossibilità sopravvenuta, che estinguerà l’estinzione. Ovviamente non è sufficiente una semplice maggiore difficoltà della prestazione o una sua maggiore onerosità affinché si configuri tale istituto; allo stesso modo, non rientrano in tale categoria solamente i tipi di impossibilità sia assoluta (materiale o giuridica) oppure oggettiva. Il requisito richiesto affinché si abbia impossibilità sopravvenuta è che la situazione impeditiva sia tale da non poter essere superata con lo sforzo diligente cui il debitore è tenuto il cui debitore è tenuto. Si dovrà tener conto del tipo di obbligazione, oltre che delle qualità e delle condizioni economiche del debitore.
L’art. 1256 c.c. richiede anche che l’impossibilità non sia imputabile al debitore. Si deve precisare che non è necessario che la situazione sia non imputabile a titolo di dolo o colpa, ma semplicemente l’impossibilità deve dipendere da una causa che il debitore era tenuto ad evitare. Questa impostazione sposta la valutazione circa la non imputabilità sulla esigibilità della condotta del debitore.
Non bisogna inoltre confondere le differenti categoria di impossibilità. Questa può essere temporanea, che comporta l’estinzione dell’obbligazione solo se perdura oltre il periodo entro il quale il debitore può essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione, o definitiva (quindi irreversibile), che comporta automaticamente l’estinzione.
Inoltre può riguardare l’intera prestazione, dando così luogo ad un’impossibilità totale, oppure riguardare solo una parte di essa, dando luogo ad un’impossibilità parziale. Quest’ultima avrà conseguenze diverse sia in materia di risoluzione che di risarcimento danni, che verranno analizzate nelle rispettive sezioni.
MODIFICAZIONE SOGGETTIVA DELLE OBBLIGAZIONI
Le modificazioni del rapporto obbligatorio possono riguardare non solo il lato oggettivo ma anche quello soggettivo. Un rapporto può dunque mantenere il proprio contenuto invariato ma può essere posto in essere da soggetti diversi, subentrati o aggiunti alle parti originarie del rapporto. L’esempio più semplice è quello della successione, sia in quella a titolo universale che in quella a titolo particolare (cioè nel singolo rapporto).
Vi sono comunque altri istituti che permettono una modificazione del lato soggettivo dell’obbligazione e può riguardare sia il lato attivo che il lato passivo del rapporto. Nella prima categoria rientrano la cessione del credito e la delegazione attiva; nella seconda, invece, la delegazione passiva, l’espromissione e l’accollo.
Cessione del credito (artt. 1260 ss. c.c.)
La cessione del credito è il contratto attraverso il quale il creditore cedente pattuisce con un terzo cessionario il trasferimento in capo a lui di un suo diritto vantato nei confronti del debitore ceduto; col medesimo termine, inoltre, si può indicare anche l’effetto di tale contratto. Il contratto intercorre solamente fra il cedente ed il cessionario; è del tutto irrilevante la volontà del debitore ceduto ai fini del perfezionamento del negozio, dal momento che tale cambiamento soggettivo non muta le condizioni oggettive della prestazione a cui è tenuto.
La cessione del credito può prevedere un corrispettivo (in danaro o di altra natura) o meno; talvolta il negozio ha funzione di garanzia oppure di cessione solutoria, utile ad estinguere un debito che il cedente aveva nei confronti del cessionario.
Il nostro ordinamento sancisce all’art. 1260 c.c. il principio di libera cedibilità dei crediti, principio a cui si deroga in alcuni casi: anzitutto quando è espressamente vietato dalla legge e quando il credito abbia un carattere strettamente personale. Inoltre le parti hanno la facoltà di sancire negozialmente l’incedibilità del credito. Sono invece cedibili i crediti futuri, a condizione però che sia già sorto il rapporto da cui questi deriveranno. La disciplina dei crediti futuri differisce anche per quanto riguarda il momento di trasferimento del credito stesso: se, di norma, questo avviene al momento del perfezionamento dell’accordo, nel caso dei crediti futuri bisogna attendere il sorgere dei crediti futuri.
Affinché la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore ceduto è necessaria la sua notificazione o la sua accettazione (atti a forma libera) da parte del debitore. Senza tali atti la cessione non sarebbe opponibile a terzi. Se il debitore ceduto dovesse pagare al creditore cedente il proprio debito, senza che la cessione sia stata notifica, il debitore sarà comunque liberato (a meno che non si provi comunque che questo fosse comunque a conoscenza della cessione).
Il passaggio del credito non muta né l’obbligazione in sé né le eccezioni che il debitore potrà opporre al cessionario.
La disciplina generale muta a seconda che la cessione sia a titolo oneroso o a titolo gratuito. Nel primo caso, infatti, il cedente deve garantire l’esistenza del credito (c.d. veritas nominis) ma non anche la solvenza del debitore (c.d. bonitas nominis), salvo ovviamente patto contrario. Nel secondo caso, invece, non deve garantire neanche la veritas nominis, salvo l’abbia promesso. Se le parti sanciscano un patto con cui il cedente è tenuto a garantire anche la bonitas nominis, in caso di inadempimento del debitore ceduto, il cedente sarà tenuto a restituire quanto ricevuto a titolo di corrispettivo, salvo ovviamente ulteriori profili di risarcimento danno.
Se invece la cessione avviene per estinguere un debito del cedente nei confronti del cessionario, si presume che il negozio avvenga pro solvendo; in tale maniera, il cedente sarà libero solamente quando il ceduto adempirà la propria obbligazione. Anche in questo caso le parti possono liberamente derogare e prevedere che la cessione sia pro soluto, liberando così il cedente sin da subito.
Delegazione attiva
Nonostante a livello codicistico non sia prevista la figura della delegazione attiva (ma solamente quella della delegazione passiva ex art. 1268 c.c.), l’autonomia negoziale delle parti permette di dar vita ad un accordo di questo tipo. A differenza della cessione del credito, si ha un accordo trilaterale che coinvolge un creditore delegante, che delega un debitore delegato ad impegnarsi ad effettuare la sua prestazione a vantaggio di un terzo delegatario. In questa maniera il delegato diviene debitore sia del delegante che del delegatario, dando luogo ad una delegazione cumulativa; anche in questo caso l’autonomia negoziale permette di derogare a questa regola e di liberare immediatamente il delegato nei confronti del delegante, dando vita ad una delegazione liberatoria.
Delegazione passiva (art. 1268 c.c.)
La delegazione passiva è il primo degli istituti in forza del quale cambia non il soggetto attivo, ma quello passivo del rapporto obbligatorio. Dal momento che l’identità del debitore può comportare delle differenze sostanziali nelle possibilità e nella qualità dell’adempimento, il creditore dovrà accettare tale modificazione.
La delegazione passiva si divide in due fattispecie. Prima di queste due è la delegazione a promettere (o promissoria), negozio trilaterale con cui un debitore delegante delega un terzo delegato ad effettuare un pagamento a favore di un creditore delegatario. Il debitore originario non viene liberato nei confronti del creditore, ma rimane obbligato solidalmente col il terzo delegato, vantando però a suo favore il beneficium ordinis, grazie al quale il delegatario non potrà chiedergli il pagamento se prima non ha richiesto l’adempimento al delegato. Ancora una volta, però, può essere espressamente previsto che l’accordo abbia natura liberatoria.
Una distinzione fondamentale si ha a seconda che nella delegazione si faccia o meno riferimento ai rapporti originari fra le parti. Nel primo caso avremo una delegazione titolata, nel secondo una delegazione pura.
Se si fa riferimento al rapporto di provvista (ossia quanto il delegato deve al delegante) potrà opporre al delegatario tutte le eccezioni opponibili al delegante. Qualora invece la promessa di pagamento riguardi il rapporto di valuta (vale a dire quanto il delegante deve ricevere dal delegatario), potranno essere opposte tutte le eccezioni che il delegatario avrebbe potuto opporre al delegante. Se si fa riferimento ad entrambi i rapporti, con l’impegno di pagare quanto previsto dal rapporto di valuta ma nei limiti del rapporto di provvista, si potranno opporre le eccezioni di entrambi i rapporti. Non si potrà opporre alcuna delle eccezione di entrambi i rapporti in caso di delegazione pura, quando cioè nessuno di questi rapporti viene menzionato.
L’altro tipo di delegazione è quella di pagamento, un accordo che intercorre fra debitore delegante e terzo delegato in forza del quale quest’ultimo viene delegato ad effettuare una determinata prestazione a favore di un creditore delegatario. A differenza della delegazione promissoria, ha funzione immediatamente solutoria e non già di mera modificazione del soggetto passivo. Lo schema è quello dell’assegno bancario. Per cui un delegante autorizza una banca delegata a pagare un terzo delegatario. Nel rapporto di valuta (fra delegante e delegatario) il pagamento effettuato dal delegato risulterà effettuato dal delegante, mentre in quello di provvista (fra delegante e delegato) risulta effettuato dal delegato direttamente al delegante.
Nel caso in cui la delegazione sorga poiché si ritiene erroneamente che il delegante si riteneva erroneamente debitore del delegatario, autorizzato ad agire per la restituzione dell’indebito è il delegante e non il delegato.
Espromissione (art. 1272 c.c.)
L’espromissione è un contratto in forza del quale un terzo espromittente si impegna con un creditore espromissario a pagargli un preesistente debito dell’espromesso obbligato originario. Tale accordo si perfeziona nel momento in cui la volontà dell’espromittente perviene all’espromissario; l’accettazione non è necessaria poiché le obbligazioni sorgono in capo ad una sola parte (l’espromittente).
Elemento caratterizzante tale istituto è la spontaneità, vale a dire l’assenza di delega da parte del debitore originario che caratterizza, invece, la delegazione passiva. Di quest’ultima, invece, si riprende il carattere cumulativo del negozio, comunque derogabile dalle parti, che possono prevedere che il debitore originario sia immediatamente liberato.
L’espromittente entra nella medesima posizione del debitore originario, condizione che gli permette di far valere tutte le eccezioni opponibili da quest’ultimo, tranne quelle personali e quelle derivanti da fatti successivi all’espromissione stessa.
Accollo
L’accollo è un accordo bilaterale in forza del quale un terzo accollante assume l’impegno, nei confronti di un debitore accollato, di pagare al suo creditore accollatario quanto da lui dovuto.
Il primo tipo di accollo è quello interno (o semplice), non espressamente previsto dal codice civile, che si configura nel caso in cui le parti non attribuiscono nessun diritto all’accollatario nei confronti del debitore accollato. L’accordo rimane limitato alle parti dell’accollo, con la conseguenza che il creditore non acquisterà direttamente un nuovo debitore, non potendosi rivalere direttamente sull’accollante che, in caso di mancato adempimento dell’obbligo assunto, risponderà solamente nei confronti dell’accollato.
Il secondo tipo di accollo è quello previsto dal codice all’art. 1273 c.c., vale a dire quello c.d. esterno. In questo caso l’accordo si configura come un contratto a favore di terzo ex art. 1141 c.c., in forza del quale il creditore accollatario potrà pretendere il pagamento direttamente dall’accollante. Inoltre, dal momento in cui il creditore aderisce all’accordo, questo diventa irrevocabile. Le modifiche fra le parti possono intervenire solo fintanto che non vi sia stata tale adesione.
Anche l’accollo esterno può essere cumulativo o liberatorio. Il terzo accollante può opporre al creditore accollatario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporgli il debitore originario.