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Reati contro il patrimonio

Reati contro il patrimonio

I reati contro il patrimonio sono disciplinati nel titolo XIII, libro secondo, del codice penale (artt. 624-648 quater c.p.) e puniscono le condotte lesive degli altrui assetti patrimoniali poste in essere da soggetti con lo specifico intento di trarre profitto dalla loro azione delittuosa.

È importante sottolineare ciò che distingue i reati contro il patrimonio da quelli contro l’economia: i primi tendono a tutelare interessi economicamente valutabili facenti capo a persone fisiche o giuridiche determinate o, comunque, determinabili, i secondi, invece, mirano a difendere gli interessi, collegati al sistema economico, di una collettività indeterminata di persone.

Pertanto il titolo in esame non esaurisce l’intera gamma di reati che offendono il patrimonio, potendosi rinvenire alcune fattispecie anche in altre parti del codice penale (come nel caso del delitto di peculato e di inosservanza degli obblighi di assistenza familiare).

Per quanto riguarda il bene giuridico protetto il codice Zanardelli affidava la tutela patrimoniale a fattispecie classificate come “reati contro la proprietà”.

Il codice Rocco modifica questa tradizionale etichettatura, passando dalla proprietà al patrimonio, con ciò formalizzando la tutela anche per ogni altro diritto reale, per il possesso di fatto separato dalla proprietà e, in alcuni casi, anche per i diritti di obbligazione.

I delitti contro il patrimonio (art. 624-628) sono stati divisi dal legislatore in due capi separati aventi ad oggetto rispettivamente:

  • i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone
  • i delitti contro il patrimonio mediante frode.

 

A) DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE VIOLENZA ALLE COSE O ALLE PERSONE

FURTO (art. 624 c.p.)

Tale delitto consiste nel fatto di “chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516”.

L’elemento oggettivo del reato consiste in una condotta che si sostanzia nell’impossessarsi di una cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene: l’impossessamento si ha quando la cosa esce dalla sfera possessoria di un soggetto per andare in quella di un altro soggetto.

Cosa mobile è qualunque entità materiale, avente una dimensione fisica, capace di soddisfare un’esigenza umana: la cosa mobile, peraltro, deve essere suscettibile di una valutazione economica, potendosi, però, configurare anche come bene capace di soddisfare un interesse di natura extra-economica (ad esempio una lettera).

La sottrazione consiste in un comportamento atto a causare l’uscita della cosa dal potere di fatto esercitato fino a quel momento da un’altra persona.

Per la configurabilità del reato sia la sottrazione che l’impossessamento devono avvenire senza il consenso di chi subisce l’azione illecita e senza il ricorso a violenza o minaccia, altrimenti si configurerebbe la diversa ipotesi criminosa della rapina (art. 628 c.p.).

Perché il reato sussista è necessario, altresì, che il soggetto attivo agisca al fine di trarre per sé o per altri un profitto: il profitto consiste in un qualunque vantaggio, non necessariamente di natura economica, potendosi configurare anche morale e psicologico.

FURTO IN ABITAZIONE E FURTO CON STRAPPO (ART. 624 bis c.p.)

Fra i rilevanti interventi di riforma del sistema penale (processuale e sostanziale) la legge 26/03/2001 n. 128, recante interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini (c.d. pacchetto sicurezza) ha introdotto nel codice penale l’art. 624-bis a norma del quale chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene , al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, nonché chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 927,00 a euro 1.500,00.

La citata legge ha dunque, trasformato il furto in abitazione ed il furto con strappo (c.d. scippo) da ipotesi aggravate del delitto di furto a figure autonome di reato, in tal modo evitando il bilanciamento con eventuali concorrenti circostanze attenuanti. La ratio di tale previsione normativa trova fondamento nel fatto che i comportamenti criminosi ivi disciplinati contengono un disvalore giuridico molto elevato e, in quanto tale, meritevole di un trattamento sanzionatorio molto rigoroso e sono state recentemente inasprite dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando).

L’elemento differenziale tra il reato di furto con strappo e la rapina risiede nella direzione della violenza esplicata dal soggetto agente: nel primo caso la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene; integra invece il reato di rapina la violenza diretta o che si sviluppa sulla persona per vincerne la resistenza.

RAPINA (ART. 628 C.P.)

L’ipotesi delittuosa in commento è un reato plurisoggettivo in quanto l’interesse tutelato è da un lato l’integrità fisica delle persone e dall’altro il patrimonio.  Il codice penale disciplina due distinte fattispecie di rapina, differenziate dal momento cronologico nel quale viene esercitata la violenza o la minaccia:

RAPINA PROPRIA (ART. 628 COMMA 1 C.P.)  nel quale viene disposto che si configura il suddetto reato nel momento in cui un soggetto, per ottenere un ingiusto profitto per sé o per altri, mediante violenza o minaccia, si impossessa di della cosa mobile altrui sottraendola al soggetto che la detiene.

Per tale reato, cosi come descritto, a seguito della recente modifica intervenuta nel 2017, viene prevista la pena della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 ad euro 2.500. Come sopra rappresentato, la rapina è un reato complesso che prevede la sussistenza della condotta tipica del reato di furto accompagnata dalle condotte previste per i reati di minaccia e violenza (in tal caso lesioni, percosse e violenza privata) finalizzate all’impossessamento della cosa altrui, cosi differenziandosi nettamente dal reato di furto proprio ex art 624 c.p. Per quanto attiene all’elemento della minaccia la stessa deve essere individuata nella prospettazione di un male ingiusto e notevole, proveniente dal soggetto minacciante.

RAPINA IMPROPRIA (ART. 628 COMMA 2 C.P.) differisce da quella precedente per il fatto che la violenza o la minaccia sono poste in essere successivamente alla sottrazione, al fine di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa, o per procurare a sé o ad altri l’impunità. La fattispecie criminosa di cui si tratta si basa sulla sussistenza di un rapporto di immediatezza tra sottrazione della cosa e violenza utilizzata per assicurarsi l’impunità. Per quanto attiene al profilo sanzionatorio anche la rapina “impropria” viene punita secondo quanto stabilito dall’art. 628 c. 1 c.p.

ESTORSIONE (ART. 629 C.P.)

Risponde di tale delitto chiunque, mediante violenza o minaccia , costringendo taluno a fare od omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La pena prevista è la reclusione da 5 a dieci anni e la multa da euro 1.000,00 a euro 4.000,00.

L’interesse tutelato è, da un lato, il patrimonio e dall’altro la libertà individuale. L’estorsione è un reato di evento formato da quattro eventi, che consistono:

  1. nella coazione relativa, ovvero nel fatto che la minaccia o la violenza sono in grado di modificare la volontà del soggetto passivo;
  2. nel compimento dell’atto di disposizione;
  3. nel danno altrui, che deve essere di tipo patrimoniale;
  4. nel profitto ingiusto che può essere anche di natura non economica, in assenza del quale si configurerebbe il reato di violenza privata.

Ne deriva che il reato di estorsione si configura solo in presenza di tutti e 4 gli eventi.

L’elemento soggettivo sufficiente per realizzarsi è il dolo generico, cioè la sussistenza di coscienza e volontà di obbligare (mediante violenza o minaccia) il soggetto passivo ad agire, al fine di produrre il vantaggio (ingiusto) nella sfera patrimoniale del reo.

Presupposti del reato di estorsione, dunque, oltre l’evento, sono la violenza o la minaccia, che devono essere idonee a coartare la volontà della vittima, sì da indurlo a disporre del suo patrimonio, a nulla rilevando le modalità. La minaccia può essere anche costituita da un comportamento omissivo, mentre il suo scopo può essere quello di far compiere un atto di disposizione patrimoniale talvolta positivo, talvolta negativo. Quindi, nel reato di estorsione, mentre il danno sarà certamente patrimoniale, il profitto potrà anche avere una finalità diversa.

Ai sensi dell’articolo 628 c.p., l’estorsione si definisce aggravata se:

  • la violenza o la minaccia sono commesse con armi, da persona travisata o da più persone riunite;
  • la violenza si è realizzata ponendo la vittima nello stato di incapacità di volere o di agire;
  • la violenza o la minaccia sono state realizzate da una persona appartenente ad un’associazione mafiosa;
  • il fatto è commesso in abitazione privata o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
  • il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
  • il fatto è commesso nei confronti di una persona che si trovi nell’atto di fruire dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici per il prelievo di denaro.
  • il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.

In tali casi la pena è della reclusione da sette a venti anni e con la multa da euro 5.000,00 a euro 15.000,00.

Altri delitti che devono menzionarsi sono il sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, la deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.), l’invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.), la turbativa violenta del possesso di cose immobili e il danneggiamento (art. 635 c.p.), recentemente riformato dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 contenente disposizioni in materia di abrogazione di reati e di illeciti civili puniti con sanzione pecuniaria civile. L’art. 635-bis c.p. punisce il danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici, mentre l’art. 635-ter c.p. definisce come reato il danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità. L’art. 635-quater rende penalmente rilevante il danneggiamento di sistemi informatici o telematici; l’art. 635-quinquies punisce il danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.

Infine, l’art. 639 del codice penale punisce il reato di imbrattamento e deturpamento di cose altrui. La condotta sanzionata è quella di colui il quale vada a deturpare o imbrattare (con qualunque mezzo e senza autorizzazione alcuna) beni mobili e immobili altrui. La sanzione è inasprita nell’ipotesi in cui il fatto sia commesso nei confronti di beni immobili o mezzi di trasporto pubblico o privato. E’ inasprita, inoltre, in caso di recidiva. Ulteriore inasprimento della pena è previsto per il deturpamento o imbrattamento di beni di valore storico o artistico.

L’art. 639 c.p. si pone in regime di complementarietà rispetto al disposto dell’art. 635 c.p., che disciplina il danneggiamento. Tuttavia, nel caso di cui all’art. 635 c.p., quel che contraddistingue la condotta è l’aver reso inservibile la res. Invece, nella seconda ipotesi di reato, abbiamo la tendenziale reversibilità della condotta.

Recentemente, il Decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito nella legge 18 aprile 2017, n. 48, contenente “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, ha stabilito che in alcune ipotesi di condanna per il delitto di imbrattamento, il giudice, ai fini della sospensione condizionale della pena, può disporre l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l’obbligo di sostenerne le spese o di rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna.

 

B) DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE FRODE

TRUFFA (ART. 640 C.P.)

Commette il delitto in esame chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

Il delitto di truffa è un reato plurioffensivo, lesivo degli interessi alla libera formazione del consenso e all’integrità del patrimonio.
Elemento peculiare della truffa (da qui la lesione dell’interesse alla libera formazione del consenso) è la cooperazione artificiosa della vittima. Il truffatore, infatti, aggredisce il patrimonio altrui attraverso un inganno che induce la vittima ad autodanneggiarsi con il compimento di un atto di disposizione patrimoniale . L’azione offensiva, a differenza del caso di furto, non si esaurisce in un’aggressione unilaterale del reo, ma richiede un completamento ad opera del soggetto passivo che coopera, appunto, alla produzione del danno.
Il Legislatore descrive in maniera dettagliata l’elemento materiale del reato di truffa, cosicché il reato può essere ricompreso tra le c.d. fattispecie a forma vincolata. Dalla lettera dell’art. 640 c.p. si possono ricavare quattro elementi:

1) una particolare condotta fraudolenta posta in essere dall’agente e concretantesi nei c.d. artifizi e raggiri;

2) l’induzione in errore della vittima come conseguenza degli artifizi o raggiri;

3) il compimento da parte della vittima di un atto di disposizione patrimoniale a seguito della detta induzione in errore;

4) un danno patrimoniale derivato alla vittima con conseguente ingiusto profitto per l’agente o per altra persona.

L’art. 640 c.p. punisce la truffa con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. Il capoverso dell’art. 640 c.p. prevede l’aumento della pena base (reclusione da uno a cinque anni e multa da 309 euro a 1.549 euro) nel caso siano integrate le circostanze indicate ai numeri 1, 2 e 2-bis. Sono tutte circostanze aggravanti oggettive, poiché riguardano le modalità dell’azione o le qualità del soggetto passivo.

La prima circostanza aggravante di cui al n.1 ricorre “se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico” (c.d. truffa in danno dello Stato). Si tratta di un’aggravante ad effetto speciale, così definita in quanto la legge determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato, cioè entro una nuova cornice edittale. La previsione è intesa ad apprestare una tutela rafforzata al patrimonio della pubblica amministrazione, e presuppone che lo Stato (o l’ente pubblico) assuma le vesti del soggetto passivo direttamente danneggiato dal fatto costituente reato; a nulla rileva, invece, l’identità del destinatario diretto della condotta d’inganno.

La seconda aggravante di cui al n.1 ricorre qualora il fatto sia commesso «con il pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare». Deve trattarsi di un mero pretesto: l’agente non deve aver fatto nulla per ottenere l’esonero, totale o temporaneo, altrimenti troverà applicazione la normativa speciale sugli illegittimi esoneri dal servizio militare o, in caso di accordo col pubblico ufficiale, il delitto di corruzione. Ad ogni buon conto, la circostanza de qua, caratterizzatasi da sempre per la sua scarsa applicazione, è divenuta addirittura anacronistica una volta venuto meno l’obbligo della leva militare, ai sensi dell’art. 7, D.Lgs. 8.5.2001, n. 215. Tuttavia la sua perdurante attualità si potrebbe affermare nel caso in cui si ritenga che l’esonero riguardi anche un servizio volontario e, quindi, il caso di fine anticipata della ferma volontaria.

La truffa è aggravata, infine, se il fatto è stato commesso “in presenza delle circostanze di cui all’art. 61 n. 5 c.p.”. Tale ultima aggravante, inserita dal c.d. “pacchetto sicurezza” (legge 15 luglio 2009, n. 94), viene comunemente denominata “minorata difesa”, che si ha quando il colpevole abbia profittato di circostanze di tempo e di luogo (ovvero, quelle che si riferiscono alla particolare situazione temporale o ambientale, come l’ora notturna, la pubblica calamità, ecc., in cui si realizza il reato) o di persona (sono quelle che si riferiscono al soggetto passivo e consistono nello stato di minorazione in cui egli, per qualsiasi ragione, si trovi, compresa l’età) tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (ostacolata non vuol dire del tutto impossibile, ma resa più difficile rispetto alle condizioni normali; per difesa pubblica, si intende quella predisposta dalle pubbliche autorità; per difesa privata si intende quella legittimamente realizzabile dal privato, come la vigilanza o la custodia dei beni o la reazione fisica finalizzata alla difesa).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, a meno che non ricorra taluna delle circostanze aggravanti sopra indicate o un’altra circostanza aggravante: in tal caso si procede d’ufficio.

TRUFFA AGGRAVATA PER IL CONSEGUIMENTO DI EROGAZIONI PUBBLICHE (ART. 640 BIS C.P.)

L’art. 640-bis c.p. punisce la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, stabilendo una pena più severa rispetto a quella prevista per la truffa, anche nelle forme aggravate: è applicata la reclusione da uno a sei anni, se il fatto di cui all’articolo 640 (truffa) riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. La procedibilità è d’ufficio. La Cassazione ha avuto modo di precisare (Cass., S.U., sentenza 28 aprile 2017, n. 20664) che il delitto di malversazione ai danni dello Stato concorre materialmente con quello di cui all’art. 640-bis, non verificandosi un concorso apparente di norme.

L’art. 640-ter c.p. punisce la frode informatica, mentre l’art. 640-quinquies c.p. contiene il reato di frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica.

INSOLVENZA FRAUDOLENTA (ART. 641 C.P.)

È punito chiunque, dissimulando il proprio stato di insolvenza, contrae un’obbligazione con il proposito di non adempierla e non l’adempie prima della condanna. La norma stabilisce la pena della reclusione fino a due anni o la multa fino a euro 516.

Scopo della norma è, in concreto, quello di garantire i patti negoziali su base volontaria a tutela della buona fede contrattuale e la salvaguardia del diritto del creditore adempiente contro particolari, preordinati, successivi inadempimenti fraudolenti consumati nell’ambito di un’obbligazione di contenuto patrimoniale correlativa alla sua pretesa.

Oggetto giuridico del reato è, dunque, l’interesse economico del creditore che viene offeso quando al suo adempimento non faccia seguito quello della controparte, concretizzandosi in tal modo il danno e, per l’inadempiente, un ingiusto profitto.

Il discrimine tra l’addebito civilistico e la commissione dell’illecito penale poggia sull’elemento ispiratore della condotta: tenere il creditore all’oscuro dello stato di insolvenza in cui si versa al momento di contrarre l’obbligazione ha, infatti, rilievo, agli effetti della norma penale, solo quando sia legato al preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, mentre l’inadempimento contrattuale non preordinato non costituisce il delitto di cui all’art. 641 c.p. e ricade, normalmente, solo nell’ambito della responsabilità civile.

L’agente deve pertanto dissimulare il proprio stato di insolvenza cioè deve nascondere la circostanza del suo stato di non solvibilità ed inoltre deve contrarre un’obbligazione con l’intenzione di non adempierla. Occorre, infine, che l’agente non adempia l’obbligazione. L’inadempimento dell’obbligazione è l’evento del reato e non condizione obiettiva di non punibilità: il reato, pertanto, si consuma al momento dell’inadempimento.

Fra i reati commessi utilizzando mezzi fraudolenti, vi sono anche quello di fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona (art. 642 c.p.), nonché quello di circonvenzione di persone incapaci (art. 643 c.p.).

USURA (ART. 644 C.P.)

L’art. 644 c.p. punisce la condotta di chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 643 c.p., si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da € 5.000,00 a € 30.000,00.

Alla stessa pena soggiace chi opera in funzione di mediatore.

L’usura, così come la truffa o la circonvenzione di incapaci, costituisce un altro tipico esempio di reato in contratto. Essa presuppone, infatti, la sussistenza di uno scambio di tipo sinallagmatico tra le parti; spesso si tratta di contratti di mutuo, ma potrebbe anche trattarsi di una locazione o di una compravendita rateale o con apertura di credito o ancora di prestazioni professionali.

Il soggetto attivo del reato può essere chiunque, mentre il soggetto passivo del delitto di usura può essere anche una persona giuridica. L’art. 644 c.p., infatti, prescinde dalla qualità e dalla natura giuridica del soggetto al quale è rivolta la pretesa usuraria, purché ricorrano gli altri requisiti costitutivi del reato.

Per quanto attiene invece al bene giuridico oggetto di tutela della presente fattispecie, alcuni lo individuano nel patrimonio della parte offesa, altri nella libertà ed autonomia contrattuale, altri ancora nel corretto funzionamento del mercato finanziario.

Elemento caratterizzante l’ipotesi criminosa in questione è costituito dal fatto che la vittima deve consegnare all’usuraio interessi o altri vantaggi usurari: è la stessa disposizione normativa che definisce cosa si intende con tale concetto, precisando che sono usurari quegli interessi che superano il limite legale, che viene determinato aumentando della metà il tasso medio relativo al tipo di operazioni che vengono di volta in volta compiute (art. 2 L. 108 del 1996); l’interesse è un compenso che rappresenta il costo del denaro che viene prestato; altri vantaggi sono qualunque tipo di prestazione diversa dal denaro suscettibile di valutazione economica.

La norma distingue, pertanto, due fattispecie di usura: l’usura presunta che ricorre quando si eccede la soglia d’usura e l’usura concreta che ricorre nel caso di abuso dello stato di difficoltà della vittima, quale strumento di lucro indebito attraverso la sproporzione delle prestazioni.

Il quarto comma precisa che l’interesse è da considerarsi usurario anche in presenza di altre circostanze, vale a dire quando di per se stesso l’interesse rientra all’interno del limite legalmente stabilito, ma risulta comunque sproporzionato rispetto alle circostanze di fatto presenti e la vittima si trova in condizioni di difficoltà economica e finanziaria: la difficoltà economica ha ad oggetto il complesso delle attività patrimoniali della vittima; quella finanziaria consiste nella semplice mancanza di liquidità.

La condotta tipica del reato di usura non richiede che il suo autore assuma atteggiamenti intimidatori o minacciosi nei confronti del soggetto passivo, atteso che tali comportamenti caratterizzano la diversa fattispecie di estorsione.

Ne consegue che se il reato di usura si perfeziona ottenendo la promessa di un interesse usurario, vi è concorso con il reato di estorsione, consumata o tentata, laddove la violenza o la minaccia, assenti al momento del patto usurario, siano in un momento successivo impiegate per ottenere il pagamento dei pattuiti interessi o degli altri vantaggi usurari (Cass. 38418 del 2001).

FRODE IN EMIGRAZIONE (ART. 645 C.P.)

L’art. 645 c.p. sanziona la condotta di chi si fa consegnare denaro da qualcuno come compenso per farlo emigrare dopo averlo indotto verso tale decisione con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309 a euro 1.032.

L’interesse tutelato è il patrimonio degli immigrati, contro quei comportamenti illeciti atti ad approfittare dello stato di bisogno ( particolare stato del soggetto per il quale questi si trova in una condizione di difficoltà e disagio, che lo costringe a compiere una determinata azione che altrimenti non realizzerebbe) e di precarietà nel quale gli immigrati talvolta versano.

L’elemento oggettivo consiste nel :

  • eccitare taluno ad emigrare ovvero suscitare in taluno un proposito prima inesistente o rafforzarne uno di fatto già presente ;
  • avviare taluno ad un paese diverso da quello nel quale voleva recarsi.

Perché la fattispecie criminosa in questione sia configurabile è necessario, altresì, che sussistano altri due elementi che sono:

  • l’azione incriminata deve essere eseguita con il ricorso a mendaci asserzioni o a false notizie
  • il soggetto attivo deve farsi consegnare o promettere denaro o altre utilità come corrispettivo dell’emigrazione

Costituisce circostanza aggravante l’aver commesso il fatto a danno di due o più persone.

L’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice.

APPROPRIAZIONE INDEBITA (ART.646 C.P.)

Il reato di appropriazione indebita è previsto dall’art. 646 del Codice Penale che punisce chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o di una cosa mobile altrui, della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
L’appropriazione indebita, oggi, a seguito delle modifiche apportate dalla legge anticorruzione 2018, è punita con la reclusione da due a cinque anni e la multa da euro 1.000 a euro 3.000.

Prima dell’intervento normativo, infatti, il reato di appropriazione indebita era punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa di 1.032 euro.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Se, però, il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.

L’interesse tutelato è il diritto di proprietà e il legame di fiducia che lega il proprietario al possessore.

Tale fattispecie criminosa presenta molti caratteri simili a quelli del furto dal quale si differenzia per il fatto che, nel caso di specie, il soggetto agente ha già la disponibilità del bene, mentre nel furto il possesso viene acquisito mediante la sottrazione della cosa.

L’elemento oggettivo consiste nell’appropriarsi del denaro o di una cosa mobile altrui  della quale si ha il possesso a qualsiasi titolo: l’appropriazione si ha quando si desume che è stata operata indebitamente un’interversione del titolo del possesso in proprietà , cioè quando l’agente comincia a comportarsi uti dominus nei confronti del bene del quale ha la disponibilità per qualunque motivo, per legge, per contratto o per ogni altra causa.

La condotta incriminata deve essere eseguita allo scopo di perseguire un ingiusto profitto per sé o per altri.

L’art. 647 c.p. prevedeva una serie di ipotesi minori di appropriazione indebita (cose smarrite, tesoro, cose avute per errore o caso fortuito). Tuttavia, il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 ha abrogato tale articolo e ha trasformato le fattispecie precedentemente previste in illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie. Si applica, quindi, la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila per chi, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se ne appropri, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della proprietà di cose trovate; per chi, avendo trovato un tesoro, si appropria in tutto o in parte, della quota dovuta al proprietario del fondo; per chi si appropri di cose delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.

RICETTAZIONE (ART. 648 C.P.)

La norma prevede la reclusione da due ad otto anni e la multa da euro 516 a euro 10.329 per chi, fuori dei casi di concorso nel reato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquisti, riceva od occulti denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intrometta nel farle acquistare, ricevere od occultare. La pena è aumentata (fino ad un terzo) quando la ricettazione riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis (ovvero, il furto che ha avuto ad oggetto componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica). La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516 se il fatto è di particolare tenuità. Non è rilevante ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione il fatto che l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non sia imputabile (perché, ad esempio, minore degli anni quattordici) o non sia punibile, ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.

Presupposto della ricettazione è che, anteriormente ad essa, sia stato commesso altro delitto (c.d. reato presupposto) al quale, però, il ricettatore non abbia partecipato, in nessuna delle forme in cui può configurarsi il concorso di persone nel reato. Il reato anteriormente commesso deve consistere in un delitto e non in una semplice contravvenzione, e deve essere effettivamente avvenuto e non meramente presupposto; è irrilevante, invece, il fatto che ne sia noto l’autore.

Soggetto attivo della ricettazione può essere chiunque, escluso l’autore o il compartecipe del delitto presupposto e, naturalmente, la vittima di tale delitto precedente.

A proposito di condotta, la ricettazione si configura come reato a forma vincolata, integrato dall’acquisto, dalla ricezione o dall’occultamento di denaro o cose provenienti da delitto o dall’attività di intermediazione posta in essere a tal fine.

L’elemento psicologico del reato di ricettazione è costituito dal dolo specifico, cioè dalla coscienza e volontà dell’agente di compiere il fatto materiale, accompagnata dalla consapevolezza della provenienza della cosa da un delitto e dal fine di procurare a sé o ad altri un profitto.

L’art. 648 non richiede che il profitto sia ingiusto, esso infatti può essere anche giusto ma è necessario che non si concreti in un vantaggio per l’autore del reato presupposto, altrimenti non di ricettazione si tratta bensì di favoreggiamento reale.

L’individuazione dell’elemento soggettivo è importante al fine di distinguere tale figura di reato con l’incauto acquisto (Acquisto di cose di sospetta provenienza, articolo 712 codice penale, reato contravvenzionale) che consiste nel fatto che l’autore viene punito per una sua negligenza e quindi punito per non aver accertato, prima dell’acquisto, la provenienza illecita del bene.

RICICLAGGIO (ART. 648 BIS C.P.)

Commette il delitto di riciclaggio chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

La norma prevede la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
Per espressa disposizione dell’ultimo comma dell’art. 648 bis c.p., il delitto in esame sussiste anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.

Gli interessi tutelati sono il patrimonio e l’ordine economico, garantiti attraverso la punibilità di comportamenti atti a sfruttare capitali illegalmente acquisiti mettendoli in circolazione nel mercato.

L’elemento oggettivo consiste in una condotta che si sostanzia nel:

  • sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da un delitto non colposo;
  • compiere altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa.

Perché il delitto in esame sia configurabile è necessario che sussista un reato presupposto, che non deve avere ad oggetto obbligatoriamente la creazione di capitali illeciti, ben potendo consistere in qualunque delitto non colposo, compreso lo stesso riciclaggio (c.d. riciclaggio indiretto).

Costituisce circostanza aggravante l’aver agito nell’esercizio di un’attività professionale: la ratio di tale circostanza trova fondamento nel fatto che il legislatore ha inteso scoraggiare l’intervento di esperti nell’attività di “ripulitura” del denaro sporco.

Costituisce invece circostanza attenuante il  fatto che i proventi del reato presupposto derivino da un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni: la ratio consiste nella minore gravità della fattispecie di riciclaggio che trovano base in un reato dotato di un basso disvalore giuridico.

Il reato si consuma nel momento in cui viene realizzata la sostituzione, il trasferimento o l’operazione che cerca di impedire l’identificazione della provenienza illecita delle cose.

L’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice.

IMPIEGO DI DENARO, BENI O UTILITA’ DI PROVENIENZA ILLECITA (ART. 648 TER C.P.)

Il delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ex art. 648 ter c.p., consiste nel fatto di chiunque che, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli artt. 648 e 648 bis (rectius, ricettazione e riciclaggio), impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto (art. 648 ter co. 1).

Si tratta di una fattispecie che si differenzia dall’ipotesi di riciclaggio poiché mentre quest’ultimo prevede la sostituzione, il trasferimento o le operazioni di ostacolo alla identificazione delle provenienze illecite, la figura in esame punisce l’impiego in attività economico-finanziarie.

La disposizione in esame è stata introdotta, infatti, al fine di completare la tutela già apprestata dall’art. 648 bis, quindi per predisporre un ostacolo all’investimento dei capitali illeciti nei circuiti delle attività economiche e finanziarie lecite; ciò sia per i conseguenti gravi turbamenti dell’ordine economico, sia per i possibili turbamenti dell’ordine socio-politico, in quanto l’incontenibile aumento del potere economico della criminalità organizzata rischia di portare sul versante della criminalità anche i centri di potere reale, politico e sociale, e di porre in essere aggressioni, senza precedenti, agli equilibri nazionali e internazionali.

Dal punto di vista soggettivo, è richiesto il dolo generico, ossia la consapevolezza della provenienza da delitto del denaro, beni o altre utilità e la consapevolezza e volontà di impiegare i medesimi in attività economiche o finanziarie.

Il delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione dell’impiego e il tentativo risulta essere configurabile.

Sono previste aggravanti e attenuanti speciali analoghe a quelle previste per il riciclaggio.

AUTORICICLAGGIO (ART. 648 TER. 1 C.P.)

Con l. 186 del 15 dicembre 2014, entrata in vigore solo nel gennaio 2015, è stata introdotta la nuova fattispecie dell’autoriciclaggio. Quest’ultima, cristallizzata oggi dall’art. 648 ter-1c.p,sanziona le condotte di riciclaggio e reimpiego poste in essere dallo stesso soggetto autore o concorrente nel reato presupposto, con pene diverse a seconda della gravità del delitto presupposto e con previsione della non punibilità delle condotte in cui denaro/altre utilità vengano destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La norma prevede la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000.

Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.

Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

Il quinto comma dell’art. 648 ter 1 prevede un aumento di pena allorquando le condotte siano state poste in essere nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o in un’altra attività professionale; la ratio dell’aggravante è da rintracciarsi nel fatto che lo svolgimento di determinate attività professionali (come, per l’appunto, quelle bancarie) rende più agevole la realizzazione di operazioni di ripulitura di capitali “sporchi”.

Il sesto comma della norma in commento, invece, introduce un’attenuante speciale di tipo premiale applicabile al soggetto che si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro o delle altre utilità provenienti dal delitto.

L’elemento soggettivo è il dolo generico come per il riciclaggio. Non sussiste il problema della consapevolezza della provenienza illecita dei profitti essendo l’autore del delitto di autoriciclaggio anche autore del delitto presupposto.

L’interesse giuridico tutelato è:

  • il patrimonio;
  • il mercato e la concorrenza ;
  • amministrazione della giustizia, ordine pubblico e economia pubblica.

La condotta incriminata può consistere, alternativamente, nell’impiegare, sostituire o trasferire in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto non colposo in precedenza perpetrato, in guisa da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

La locuzione “impiegare” allude a qualsiasi forma di re-immissione della disponibilità del denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa nel circuito economico-legale, mentre le forme della sostituzione e del trasferimento rimandano a qualsiasi comportamento che realizzi l’effetto tipico indicato dalla norma (appunto, la sostituzione o il trasferimento).

L’inciso “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa” stigmatizza, nella condotta tipica, il requisito della artificiosità, sicché la punibilità è circoscritta alle sole condotte che, in concreto (per le peculiari modalità in cui si manifestano, pur non integrando gli estremi degli artifici o raggiri) esprimano un contenuto precettivo e, pertanto, risultino idonee ad ostacolare la tracciabilità che conduce dalla disponibilità del denaro, dei beni o delle altre utilità alla sua fonte genetica.

L’aggiunta dell’avverbio “concretamente” oltre ad esigere un accertamento in termini oggettivi e strettamente collegati al singolo caso, suggerisce un’esegesi rigorosa, che impone all’interprete di attribuire al termine “ostacolare” il suo significato proprio, ossia di frapporre un mezzo allo svolgimento di un’azione o all’esplicazione di una facoltà.

L’oggetto materiale del reato è costituito da denaro, beni o qualsiasi altra utilità proveniente dal delitto presupposto, con ciò ricomprendendo, altresì, gli immobili, le aziende, i titoli di credito e quant’altro.

La consumazione si ha nel momento e nel luogo in cui viene realizzato dall’agente il comportamento tipico.