Reati fallimentari
Con Legge n. 155 del 19 ottobre 2017 il legislatore ha inteso determinare ed armonizzare i principi generali delle procedure concorsuali (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), e della composizione delle crisi da sovraindebitamento (legge 27 gennaio 2012, n. 3). La riforma ha trovato corpo nel D.lgs 12 gennaio 2019 n. 14 “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”, (da ultimo modificato dal D.lgs n. 147 del 10 ottobre 2020), pienamente in vigore dal primo settembre 2021.
Ne consegue che anche la disciplina della bancarotta e degli altri reati fallimentari è stata ricondotta all’interno del nuovo Codice (artt. 322-347). Nel nuovo impianto normativo, anche in riferimento ai rilievi penali, scompare il riferimento al “fallimento” sostituito lessicalmente dal termine “liquidazione giudiziale”.
Svolte le doverose premesse sistematiche, procedendo all’analisi delle principali fattispecie in esame, si rileva la distinzione tra reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale:
Capo I
- 322. Bancarotta fraudolenta
- 323. Bancarotta semplice
- 324. Esenzioni dai reati di bancarotta
- 325. Ricorso abusivo al credito
- 326. Circostanze aggravanti e circostanza attenuante
- 327. Denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte dell’imprenditore in liquidazione giudiziale
- 328. Liquidazione giudiziale delle società in nome collettivo e in accomandita semplice e Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale.
Capo II
- 329. Fatti di bancarotta fraudolenta
- 330. Fatti di bancarotta semplice
- 331. Ricorso abusivo al credito
- 332. Denuncia di crediti inesistenti
- 333. Reati dell’institore
- 334. Interesse privato del curatore negli atti della liquidazione giudiziale.
- 335. Accettazione di retribuzione non dovuta
- 336. Omessa consegna o deposito di cose della liquidazione giudiziale
- 337. Coadiutori del curatore
- 338. Domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso con l’imprenditore in liquidazione giudiziale
In relazione ai primi la bancarotta fraudolenta (art. 322) punisce con la pena della reclusione da tre a dieci anni, l’imprenditore che, dichiarato in liquidazione giudiziale, abbia distrutto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni (c.d. Bancarotta materiale), ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, abbia esposto o riconosciuto passività inesistenti (comma 1, lett. A), oppure abbia sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li abbia tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (comma 1, lett. B c.d. Bancarotta documentale).
La stessa pena si applica all’imprenditore che, durante la procedura, commetta alcuno dei fatti preveduto dalla lettera a) del comma 1, ovvero sottragga, distrugga o falsifichi i libri o le altre scritture contabili.
Trattandosi di reato proprio, soggetto attivo può essere solo l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale, mentre in relazione alla condotta tipica materiale si distinguono:
Indice dei contenuti
La distrazione
Condotta rivolta a conferire al bene una destinazione diversa da quella imposta dalla norma giuridica, ovvero quella di tenere a disposizione degli organi della liquidazione giudiziale i beni dell’imprenditore insolvente, affinché possano essere distribuiti ai creditori. Secondo la Cass. Penale n. 35591/2017 rientrerebbero nella nozione anche le condotte che, “pur non determinando una fuoriuscita fisica o giuridica di risorse e ricchezza dall’azienda, determinano tuttavia un vincolo per il patrimonio dell’impresa fallita, creando obbligazioni pertinenti alla destinazione di un bene o comunque idonee a riflettersi sul patrimonio nella sua globalità”;
L’occultamento
Ovvero il materiale nascondimento dei beni del patrimonio, così da renderne impossibile l’apprensione da parte degli organi della procedura;
La dissimulazione
Nella dissimulazione i beni non vengono sottratti materialmente ma l’imprenditore ne rende impossibile l’apprensione mediante negozi giuridici simulati;
La distruzione
Consiste nella condotta diretta alla disgregazione materiale del bene;
La dissipazione
Consiste nella distruzione giuridica della ricchezza, potendosi identificare con lo sperpero vero e proprio attuato mediante atti a titolo gratuito, a titolo oneroso o di adempimento ad obbligazioni naturali.
Secondo la Giurisprudenza di legittimità, a parte il fatto commesso mediante esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, per il quale è richiesta la sussistenza del dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, il reato sarebbe caratterizzato dal dolo generico. (Cass. Pen. n. 38396/2017).
Tuttavia, a favore della tesi che rinviene l’elemento soggettivo nel dolo specifico per tutte le ipotesi, deporrebbe la medesima ratio della norma e l’essenza stessa della bancarotta come offesa all’interesse dei creditori, concretizzabile sia attraverso lo storno di attività sia tramite dissimulazione di passività.
In relazione alla bancarotta fraudolenta documentale tra le diverse condotte punibili si distinguono:
La sottrazione
Attuata con qualsiasi atto diverso dalla distruzione, è la condotta diretta a togliere la possibilità di acquisizione dei libri e delle scritture contabili da parte degli organi della liquidazione giudiziale;
La falsificazione
Ovvero la creazione di un falso documento o l’artefazione di un documento esistente. Può trattarsi sia di falsità materiale che di falsità ideologica;
L’esposizione o il riconoscimento di passività inesistenti
E’ un particolare tipo di falso ideologico che non cade direttamente sui libri o sulle scritture contabili, ma si attua mediante la predisposizione di falsi atti o la effettuazione di false dichiarazioni, inducendo in errore gli organi del fallimento sull’esistenza di determinate voci passive del patrimonio;
La tenuta caotica dei libri e delle scritture contabili
Consistente in una ampia gamma di azioni (quali ad esempio l’emissione di fatture per operazioni inesistenti od il frequente ricorso a storni e giroconti) rivolte a rendere difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti dell’impresa (Cass. Pen., 40809/2010).
In merito all’elemento psicologico del reato, anche in questo caso esso si intende diversificato a seconda che si tratti di sottrazione, distruzione e falsificazione o di tenuta caotica dei libri e delle scritture contabili; nel primo caso si richiede il dolo specifico, rappresentato dal fine di ingiusto profitto o di pregiudizio per i creditori, nel secondo sarebbe sufficiente il dolo generico, consistente nella consapevolezza e volontà di tenere le scritture in modo da impedire agli organi del fallimento di recuperare i beni sottratti.
Nell’ambito delle condotte riconducibili al reato di bancarotta fraudolenta, ai sensi del terzo comma dell’art. 322, è punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione. (c.d. bancarotta preferenziale). La figura di reato, in questo caso, tende ad impedire un trattamento difforme tra i creditori e si caratterizza per il fatto che l’oggetto giuridico è rappresentato dall’interesse dei creditori alla distribuzione del patrimonio secondo le regole della par condicio. Dunque l’elemento psicologico è chiaramente costituito dal dolo specifico, consistente nel fine di favorire alcuni dei creditori a discapito di altri.
Al di fuori dei casi di bancarotta fraudolenta, con la fattispecie della bancarotta semplice (art. 323) l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale viene punito con la reclusione da sei mesi a due anni se:
- ha sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;
- ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
- ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale;
- ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa;
- non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale.
La stessa pena si applica all’imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.
Secondo la prevalente Giurisprudenza di legittimità la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguerebbero in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili mentre, per la bancarotta fraudolenta documentale, l’elemento psicologico dovrebbe essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Cass. Pen. nn. 55065/2016 e 48523/2011).
Ai sensi dell’art. 324 (Esenzioni dai reati di bancarotta) le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3 e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o degli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell’articolo 80, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli articoli 99, 100 e 101.
L’art. 326 prevede circostanze aggravanti ed attenuanti specifiche.
La prima aggravante si configura nel caso in cui le condotte di bancarotta abbiano cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, da valutarsi in relazione al pregiudizio complessivamente arrecato alla massa dei creditori. Le pene stabilite negli articoli di cui sopra sono, altresì, aumentate se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati e se lo stesso, per divieto di legge, si trovava nella condizione di non poter esercitare un’impresa commerciale. L’unica circostanza attenuante è prevista nel caso in cui i fatti criminosi abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità; in questo caso le pene sono ridotte fino al terzo.
Oltre alle diversificate fattispecie di bancarotta sopra descritte, il Capo I riporta due ulteriori ipotesi delittuose:
art. 325. Ricorso abusivo al credito
- Gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli 322 e 323, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
- La pena è aumentata nel caso di società soggette alle disposizioni di cui al capo II, titolo III, parte IV, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
- Salve le altre pene accessorie di cui al libro I, titolo II, capo III, del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni;
e
art. 327. Denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte dell’imprenditore in liquidazione giudiziale
- È punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi l’imprenditore in liquidazione giudiziale, il quale, fuori dei casi preveduti all’articolo 322, nell’elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l’esistenza di altri beni da comprendere nell’inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli articoli 49, comma 3, lettera c) e 149.
- Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno.
L’art. 328 prevede, infine, l’estensione dei reati di cui al sopra descritto Capo I anche ai soci illimitatamente responsabili di società in nome collettivo e in accomandita semplice assoggettate a liquidazione giudiziale.
Passando alla descrizione dei reati commessi dai soggetti diversi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale, di cui al Capo II, vengono principalmente in rilievo i fatti di bancarotta di cui agli artt. 329 e 330 (c.d. bancarotta impropria).
Secondo le norme appena richiamate le pene rispettivamente stabilite dagli artt. 322 e 323 si applicano anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate in liquidazione giudiziale. La giurisprudenza prevalente estende la responsabilità anche agli amministratori di fatto, ovvero coloro i quali, pur in mancanza di un atto formale, esercitano i poteri e le funzioni tipiche dell’amministratore societario. (Cass. Pen. n. 18696/2013).
A sostegno di tale interpretazione estensiva si confronti anche la definizione di amministratore di fatto di cui all’art. 2639 c.c., introdotta con la riforma dei reati societari (D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61), a mente del quale al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Anche se tale estensione è effettuata esplicitamente per i reati societari, tra le varie soluzioni prospettate dalla dottrina, la più coerente sembrerebbe essere quella che estende l’applicabilità della norma anche ai reati fallimentari.
La prima ipotesi di bancarotta (fraudolenta) impropria è contenuta all’interno dell’art. 329, co. 2, lett. a), secondo il quale ai soggetti menzionati si applica la pena prevista dall’art. 322, co. 1 del medesimo codice, se abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c. Si tratta di fatti già punibili a norma degli articoli richiamati del codice civile e che, in connessione con il fallimento, vengono puniti più severamente. Essi appartengono alla categoria delle frodi o alla categoria delle violazioni più gravi degli obblighi incombenti alle persone preposte all’amministrazione e al controllo delle società (c.d. reati societari).
La seconda ipotesi di bancarotta (fraudolenta) impropria è contemplata dall’art. 329, co. 2, lett. b), ai sensi del quale vengono puniti con la pena della reclusione da tre a dieci anni, gli amministratori e gli altri soggetti menzionati che abbiano cagionato con dolo, o per effetto di operazioni dolose, il dissesto della società.
L’art. 330 configura la diversa ipotesi di bancarotta (semplice) impropria prevedendo l’applicazione delle pene stabilite nell’articolo 323 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate in liquidazione giudiziale, i quali: a) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo; b) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.
Si riportano di seguito le altre fattispecie di reato previste dal Codice in relazione a soggetti diversi dall’imprenditore:
art. 331. Ricorso abusivo al credito
- Si applicano le pene stabilite nell’articolo 325 agli amministratori ed ai direttori generali di società sottoposte a liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso il fatto in esso previsto.
art. 332. Denuncia di crediti inesistenti
- Si applicano le pene stabilite nell’articolo 327 agli amministratori, ai direttori generali e ai liquidatori di società dichiarate in liquidazione giudiziale, che hanno commesso i fatti in esso indicati.
art. 333. Reati dell’institore
- All’institore dell’imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, il quale nella gestione affidatagli si è reso colpevole dei fatti preveduti negli articoli 322, 323, 325 e 327 si applicano le pene in questi stabilite.
Di particolare interesse le ipotesi delittuose previste in capo al curatore e suoi coadiutori:
art. 334. Interesse privato del curatore negli atti della liquidazione giudiziale.
- Salvo che al fatto non siano applicabili gli articoli 315, 317, 318, 319, 321, 322 e 323 del codice penale, il curatore che prende interesse privato in qualsiasi atto della liquidazione giudiziale direttamente o per interposta persona o con atti simulati è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa non inferiore a euro 206.
- La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici.
art. 335. Accettazione di retribuzione non dovuta
- Il curatore della liquidazione giudiziale che riceve o pattuisce una retribuzione, in danaro o in altra forma, in aggiunta di quella liquidata in suo favore dal tribunale o dal giudice delegato, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da euro 103 a euro 516.
- Nei casi più gravi alla condanna può aggiungersi l’inabilitazione temporanea all’ufficio di amministratore per la durata non inferiore a due anni.
art. 336. Omessa consegna o deposito di cose della liquidazione giudiziale
- Il curatore che non ottempera all’ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altra cosa della liquidazione giudiziale, che egli detiene a causa del suo ufficio, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 1.032.
- Se il fatto avviene per colpa, si applica la reclusione fino a sei mesi o la multa fino a euro 309.
art. 337. Coadiutori del curatore
- Le disposizioni degli articoli 333, 334 e 335, si applicano anche alle persone che coadiuvano il curatore nell’amministrazione della liquidazione giudiziale.
Seguono le altre ipotesi tipizzate:
art. 338. Domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso con l’imprenditore in liquidazione giudiziale
- È punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 51 a euro 516 chiunque, fuori dei casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona presenta domanda di ammissione al passivo della liquidazione giudiziale per un credito fraudolentemente simulato.
- Se la domanda è ritirata prima della verificazione dello stato passivo, la pena è ridotta alla metà.
- E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:
- a) dopo l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, fuori dei casi di concorso in bancarotta o di favoreggiamento, sottrae, distrae, ricetta ovvero in pubbliche o private dichiarazioni dissimula beni del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale;
- b) essendo consapevole dello stato di dissesto dell’imprenditore distrae o ricetta merci o altri beni dello stesso o li acquista a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente, se la apertura della liquidazione giudiziale si verifica.
- La pena, nei casi previsti dalle lettere a) e b) del comma 3, è aumentata se l’acquirente è un imprenditore che esercita un’attività commerciale.
art. 339. Mercato di voto
- Il creditore che stipula con l’imprenditore in liquidazione giudiziale o con altri nell’interesse del predetto vantaggio a proprio favore per dare il suo voto nel concordato o nelle deliberazioni del comitato dei creditori, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103.
- La somma o le cose ricevute dal creditore sono confiscate.
- La stessa pena si applica all’imprenditore in liquidazione giudiziale e a chi ha contrattato col creditore nell’interesse dell’imprenditore in liquidazione giudiziale.
art. 340. Esercizio abusivo di attività commerciale
- Chiunque esercita un’impresa commerciale, sebbene si trovi in stato di inabilitazione ad esercitarla per effetto di condanna penale, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa non inferiore a euro 103.
Si tralasciano in questa sede le peculiari figure di reato previste in seno alle altre procedure concorsuali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e liquidazione coatta amministrativa) di cui ai capi II e IV del Nuovo Codice (artt. 341-345) mentre si evidenziano, in conclusione, le disposizioni di procedura relative all’esercizio dell’azione penale ed alla costituzione di parte civile di cui al Capo V (artt. 346 e 347).
Per i reati previsti negli articoli 322, 323, 329 e 330, l’azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza di apertura di liquidazione giudiziale di cui all’articolo 49, da eseguirsi ai sensi dell’art. 45 a cura del cancelliere entro il giorno successivo al deposito, e da inoltrare al debitore, al pubblico ministero e ai richiedenti l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
La costituzione di parte civile nel procedimento penale relativo ai reati di cui trattasi è prevista per il curatore, il liquidatore giudiziale, il commissario liquidatore e il commissario speciale di cui all’art. 37 del decreto legislativo 16 novembre 2015 n. 180, anche contro l’imprenditore in liquidazione giudiziale. Mentre i creditori possono costituirsi parte civile nel procedimento per bancarotta fraudolenta quando manca la costituzione dei soggetti sopra detti, ovvero, quando non sia stato nominato il liquidatore giudiziale o quando intendono far valere un titolo di azione propria personale.