Reati societari
I reati societari rappresentano ipotesi di reato commesse nell’esercizio di un’attività di impresa svolta in forma societaria.
La collocazione sistematica di tali figure penali denota la connessione esistente tra le norme che disciplinano le società commerciali e quelle che reprimono le più gravi violazioni del settore.
Esse, pertanto, si trovano in gran parte all’interno del codice civile al Titolo XI del Libro V (artt. 2621 – 2642 c.c.), così come integralmente sostituito dall’Art. 1 del D.lgs n. 61 del 11 aprile 2002 e successivamente modificato e sostituito dall’art. 30 L. n. 262/05 (c.d. Legge sul risparmio) e dall’art. 11 co.1 legge 27 maggio 2015 n. 69.
I reati societari sono attribuiti al Tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’art. 33-bis del c.p.p. e rientrano tra le fattispecie ricomprese nell’elenco dei reati presupposto di cui all’art. 25 ter del D.Lgs. 231/2001, concernente la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato.
Come si vedrà la tutela penale di tali figure incriminanti riguarda differenti beni giuridici, quali, ad esempio, la trasparenza e correttezza dell’informativa societaria (reati di false comunicazioni sociali), l’effettività del capitale sociale (indebita restituzione dei conferimenti; illegale ripartizione degli utili e delle riserve; illecite operazioni su azioni o quote sociali; formazione fittizia del capitale), l’integrità del patrimonio sociale (infedeltà patrimoniale; omessa comunicazione del conflitto di interesse), il regolare funzionamento delle società (illecita influenza sull’assemblea) e del mercato (aggiotaggio societario), nonché le funzioni di vigilanza sulle tipiche attività d’impresa (ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza).
L’eterogeneità delle fattispecie emerge anche dal punto di vista soggettivo, trattandosi di reati che possono essere commessi, a seconda dei casi, da chiunque (aggiotaggio societario), dai soli amministratori, od anche dai direttori generali, sindaci o dirigenti di società preposti alla redazione dei documenti contabili (false comunicazioni sociali).
Passando alla breve descrizione delle fattispecie si riscontra al Capo I un primo gruppo di reati rientranti nella previsione normativa delle “false comunicazioni sociali” (c.d. Falso in bilancio):
art. 2621. False comunicazioni sociali
Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Il bene giuridico protetto in questo caso è la trasparenza e la veridicità delle rappresentazioni contenute nelle comunicazioni sociali a tutela della fiducia dei terzi (reato monoffensivo). Trattandosi di un delitto di pericolo non presuppone il verificarsi di un danno per i creditori o i soci.
Il reato in esame è considerato reato proprio, soggetti attivi sono: gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori. Sono ricompresi per esplicita definizione normativa gli amministratori di fatto di cui all’art. 2639 c.c., ovvero tutti quei soggetti che, pur in assenza di formale investitura, esercitano in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione richiamata dalla fattispecie. L’elemento soggettivo è caratterizzato dal fine di procurare per sé o per altri un ingiusto profitto (dolo specifico) mentre la condotta presenta significative differenze rispetto alla precedente formulazione: a) l’uso dell’avverbio consapevolmente per le due diverse condotte; b) sia la condotta attiva sia quella omissiva hanno per oggetto i fatti materiali (con l’aggiunta del termine ‘rilevanti‘ per delimitare l’area del penalmente rilevante ai fatti più gravi) mentre prima, la condotta omissiva aveva ad oggetto le “informazioni” la cui comunicazione è imposta dalla legge; c) si è aggiunto l’avverbio ‘concretamente‘ per meglio specificare e delimitare l’idoneità dell’induzione in errore (escludendo la condotta solo astrattamente idonea a trarre in inganno).
Importante, inoltre, l’eliminazione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” in riferimento ai fatti materiali non rispondenti al vero, volta ad escludere le mere valutazioni o stime non corrette.
Tra le condotte rientranti nell’alveo della norma si possono indicare, in modo assolutamente non esaustivo: a) appostare in bilancio ricavi o costi non reali (perché ad esempio derivanti da operazioni inesistenti documentate da fatture false); b) lasciare in bilancio crediti sebbene ormai definitivamente inesigibili per il fallimento senza attivo del debitore; c) la valutazione di qualcosa di inesistente come ad esempio un credito inesistente, inesigibile o irrealizzabile; d) l’omessa indicazione della vendita o dell’acquisto di beni; e) mancata svalutazione di una partecipazione nonostante l’intervenuto fallimento della società controllata; f) l’omessa indicazione di un debito derivante da un contenzioso nel quale si è rimasti definitivamente soccombenti; g) indicare crediti inesistenti in quanto originati da contratti fittizi; h) indicare all’attivo dello stato patrimoniale il credito nei confronti di un cliente per “fatture da emettere” in violazione del principio di competenza, afferendo i ricavi all’esercizio successivo ed essendo il contratto concluso solo l’anno dopo; i) indicare tra i crediti verso clienti un importo in relazione all’emissione di una fattura per operazioni inesistenti.
I destinatari delle comunicazioni, (soggetti passivi) sono i soci o il pubblico. Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui il bilancio, le relazioni o le altre comunicazioni sociali sono portate a conoscenza dei destinatari. Il tentativo è possibile, essendo la norma divenuta un delitto procedibile d’ufficio.
La riforma ha, inoltre, introdotto due norme volte ad attenuare la pena ed a delimitare l’ambito di punibilità dell’art. 2621 c.c.:
art. 2621-bis Fatti di lieve entità
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all’articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all’articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.
art. 2621-ter Non punibilità per particolare tenuità
Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis. e un’altra ipotesi specifica per le società quotate.
art. 2622 False comunicazioni sociali delle società quotate
Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.
Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:
1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi
Seguono all’art. 2625 ed al Capo II (artt. 2626-2629) gli illeciti che possono essere commessi dai soli amministratori:
art. 2625 Impedito controllo
Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.
Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa.
La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
L’articolo ha lo scopo di tutelare il corretto svolgimento delle funzioni di controllo e revisione.
art. 2626 Indebita restituzione dei conferimenti
Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
La norma si pone a tutela dell’integrità e dell’effettività del capitale sociale a garanzia dei creditori e dei terzi. La condotta può avvenire sotto forma di restituzione, anche simulata, sotto qualsiasi forma (in modo diretto o indiretto, integrale o parziale), dei conferimenti ai soci, ovvero liberando i soci dall’obbligo di versare i conferimenti.
art. 2627 Illegale ripartizione degli utili e delle riserve
Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno.
La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio estingue il reato.
In questo caso il legislatore tende alla tutela dei soci e dei terzi da indebite erosioni del patrimonio sociale, poste in essere attraverso la distribuzione di utili non acquisiti o da iscrivere per legge a riserve obbligatorie. La norma si estende anche alla ripetizione di acconti su utili, ma solo quando essi non siano effettivamente conseguiti e non siano destinati a riserva legale.
art. 2628 Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante
Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.
Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.
L’obbiettivo principale della fattispecie è quello di evitare “l’annacquamento” del patrimonio sociale in caso di operazioni illecite di acquisto o sottoscrizione da parte degli amministratori.
art. 2629 Operazioni in pregiudizio dei creditori
Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
Anche in questo caso siamo difronte ad un’ipotesi di reato di danno, che si ha quando l’amministratore effettua operazioni in violazione di norme di legge poste a tutela dei creditori. Nel secondo comma è, inoltre, prevista una causa estintiva del reato.
Gli illeciti omissivi, in materia di reati societari possono essere di natura penale: omessa comunicazione del conflitto di interesse (art. 2629-bis introdotto dalla c.d. Legge sul risparmio) o di natura amministrativa: omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630) ed omessa convocazione dell’assemblea (art. 2631). Tali figure sono finalizzate alla tutela del corretto funzionamento degli organi sociali:
art. 2629-bis Omessa comunicazione del conflitto d’interessi
L’amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
art. 2630 Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi
Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro. Se la denuncia, la comunicazione o il deposito avvengono nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo.
Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo.
art. 2631 Omessa convocazione dell’assemblea
Gli amministratori e i sindaci che omettono di convocare l’assemblea dei soci nei casi previsti dalla legge o dallo statuto, nei termini ivi previsti, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.032 a 6.197 euro. Ove la legge o lo statuto non prevedano espressamente un termine, entro il quale effettuare la convocazione, questa si considera omessa allorché siano trascorsi trenta giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell’assemblea dei soci.
La sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo in caso di convocazione a seguito di perdite o per effetto di espressa legittima richiesta da parte dei soci.
Gli altri illeciti societari sono descritti dagli artt. 2632-2638.
art. 2632 Formazione fittizia del capitale
Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore all’ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
L’articolo in esame svolge una funzione centrale nella tutela del capitale sociale e comprende le condotte che incidono sul processo di formazione del nucleo patrimoniale protetto.
art. 2633 Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori
I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
E’ reato proprio in quanto unici soggetti attivi sono i liquidatori, i quali ripartiscono i beni della società tra i soci prima di aver provveduto al pagamento dei creditori sociali. Il reato si consuma nel momento in cui i liquidatori, attraverso il riparto cagionino un danno ai creditori. Il delitto, punibile a querela, richiede la coscienza e volontà del fatto nonché la consapevolezza dell’irregolarità delle operazioni e la conoscenza dell’esistenza delle ragioni di credito. Anche in questo caso è prevista una causa estintiva del reato.
art.2634 Infedeltà patrimoniale
Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.
In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo.
Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.
La norma è diretta a respingere gli abusi sociali da parte degli organi societari. Presupposto è l’esistenza di un conflitto di interessi tra i soggetti attivi della fattispecie e la società.
Seguono le ipotesi di c.d. “Corruzione privata”:
art. 2635 Corruzione tra privati
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo (1).
Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
Chi, anche per interposta persona, offre, promette o dà denaro o altra utilità non dovuti alle persone indicate nel primo e nel secondo comma, è punito con le pene ivi previste (2).
Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
[ Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.(3)]
Fermo quanto previsto dall’articolo 2641, la misura della confisca per valore equivalente non può essere inferiore al valore delle utilità date, promesse o offerte. (4)
(1) Comma così sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. a), D.Lgs. 15 marzo 2017, n. 38, a decorrere dal 14 aprile 2017.
(2) Comma così sostituito dall’art.3, comma 1, lett. b), D.Lgs. 15 marzo 2017, n. 38, a decorrere dal 14 aprile 2017.
(3) Comma abrogato dall’art. 1, comma 5, lett. a), L. 9 gennaio 2019, n. 3, a decorrere dal 31 gennaio 2019.
(4) Comma aggiunto dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202, a decorrere dal 24 novembre 2016 e, successivamente, così modificato dall’art. 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. 15 marzo 2017, n. 38, a decorrere dal 14 aprile 2017.
art. 2635-bis. Istigazione alla corruzione tra privati (1)
Chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi un’attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, affinché compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 2635, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, che sollecitano per sé o per altri, anche per interposta persona, una promessa o dazione di denaro o di altra utilità, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora la sollecitazione non sia accettata.
[Si procede a querela della persona offesa.(2)]
(1) Articolo inserito dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. 15 marzo 2017, n. 38, a decorrere dal 14 aprile 2017.
(2) Comma abrogato dall’art.1, comma 5, lett. b), L. 9 gennaio 2019, n. 3, a decorrere dal 31 gennaio 2019.
art. 2635-ter. Pene accessorie (1)
La condanna per il reato di cui all’articolo 2635, primo comma, importa in ogni caso l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese di cui all’articolo 32-bis del codice penale nei confronti di chi sia già stato condannato per il medesimo reato o per quello di cui articolo 2635 -bis, secondo comma.
(1)Articolo inserito dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. 15 marzo 2017, n. 38, a decorrere dal 14 aprile 2017.
Si individuano, quindi, le fattispecie ove il soggetto attivo del reato non viene ricollegato a determinati ruoli ricoperti all’interno delle società ma può essere chiunque:
art. 2636 Illecita influenza sull’assemblea
Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
art. 2637 Aggiotaggio
Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
Trattasi di una manovra speculativa da parte di chi, per fini di lucro, turba il mercato nazionale dei valori e delle merci. L’attuale versione della norma rende il reato punibile solo in caso di significativa incidenza sull’alterazione del prezzo.
art. 2638 Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza
Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.
La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza.
La norma assicura il corretto svolgimento delle azioni di controllo, mediante l’attribuzione della responsabilizzazione degli amministratori e delle altre figure dirigenziali, sindacali ed eventuali liquidatori. La tutela penale si estende anche alle informazioni riguardanti i beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. L’elemento soggettivo è rappresentato dal dolo specifico: il reo deve agire con il fine di ostacolare le funzioni di vigilanza, mediante strumenti propri, nella specie comunicazioni obbligatorie.
Come già accennato l’art. 2639 introduce nel sistema dispositivo la definizione di amministratore di fatto:
Estensione delle qualifiche soggettive
Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi.
Infine, per tutti i reati societari di cui agli articoli sopra menzionati è prevista sia la circostanza attenuante in caso di offesa particolarmente tenue:
art. 2640 Circostanza attenuante
Se i fatti previsti come reato agli articoli precedenti hanno cagionato un’offesa di particolare tenuità la pena è diminuita.
Sia la confisca del prodotto o del profitto del reato, nonché dei beni eventualmente utilizzati per commetterlo, oppure, quando non sia possibile l’individuazione o l’apprensione dei beni, la confisca “per equivalente” di una somma di denaro o di altri beni:
art. 2641 Confisca
In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo.
Quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente.
Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale.
A carico di amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori o commissari per fatti commessi nell’esercizio o a causa del loro ufficio, la sentenza di condanna viene comunicata – a cura della cancelleria dell’Autorità che ha emesso il provvedimento – all’organo che esercita la funzione disciplinare sugli iscritti all’albo professionale al quale i condannati appartengono.