Reato di lesioni personali
Il reato di lesioni personali è una delle fattispecie dei delitti che offendono l’integrità fisica o psichica della persona ed è disciplinato dal codice penale all’art. 582, il quale stabilisce che “chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”.
Le lesioni personali rappresentano un reato d’evento a forma libera che, pertanto, può essere commesso con qualunque mezzo in grado di sottoporre la persona altrui ad una violenta manomissione, compresi un urto e una spinta intenzionale, anche mediante un’omissione e persino con una condotta priva di violenza fisica, ma in grado di cagionare malattia (come ad es. nel caso di esposizione alle intemperie, privazione di cibo, spruzzo di spray urticante, ecc.).
L’elemento centrale di questa tipologia di delitto è la malattia, intesa come qualsiasi alterazione anatomica o funzionale che comporti una riduzione apprezzabile di funzionalità, anche se di breve durata.
Si tratta di un elemento importante in quanto in grado di distinguere questo tipo di delitto dal reato di percosse di cui all’art. 581 c.p. e perché idoneo a connotare il tipo di offesa.
Esistono infatti quattro tipi di lesioni, distinti in base alla gravità:
- Lesioni personali lievi: si tratta di lesioni determinanti una malattia di durata compresa tra i 21 e i 40 giorni (altrimenti si ricadrebbe nelle ipotesi di cui all’ 583 c.p.), sono procedibili d’ufficio e sanzionate con la reclusione da tre mesi a tre anni.
- Lesioni personali lievissime: sono punite a querela della persona offesa, ove non superiori ai venti giorni e non in concorso con le circostanze aggravanti previste dagli artt. 583 e 585 c.c.
Entrambe le tipologie sono disciplinate dall’articolo 582 c.p.
- Lesioni personali gravi: si concretizzano quando dalla lesione sia derivata una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, un’incapacità di svolgere ordinarie attività per un tempo superiore ai 40 giorni, ovvero un indebolimento permanente di un senso o di un organo; punite con la reclusione da tre ai sette anni.
- Lesioni personali gravissime: quando la malattia è con probabilità o certezza inguaribile (es. provoca la perdita di un senso, di un arto, di un organo, della capacità di procreare, oppure la deformazione o uno sfregio permanente del viso). La reclusione, in tal caso, va da un minimo di sei a un massimo di dodici anni.
Questi ultimi due tipi di lesioni rientrano tra le fattispecie aggravanti di cui all’art.583 c.p.
Si distinguono le lesioni personali “dolose” da quelle “colpose”; a queste ultime è dedicata una disciplina ad hoc contenuta nell’art.590 c.p.
Di conseguenza, l’elemento soggettivo richiesto nelle lesioni personali di cui all’art. 582 c.p. è il dolo.
Si tratta di un dolo “generico”, quindi consistente nella consapevolezza che la propria azione provochi o possa provocare danni fisici alla vittima; non occorre, al contrario, che la volontà dell’agente sia diretta a produrre determinate conseguenze lesive.
Il soggetto attivo, come afferma la stessa norma, può essere “chiunque” cagioni ad altri una lesione personale, mentre si indica come soggetto passivo la persona cui la lesione è stata cagionata, se dalla stessa deriva una malattia, nel corpo o nella mente, come dispone expressis verbis l’art. 582 c.p., e non già una mera sensazione di dolore, trattandosi in tal caso del delitto di percosse ex art. 581 c.p.
Questa tipologia di reato è procedibile a querela della persona offesa, se la malattia ha una durata non superiore ai 20 giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti di cui all’art.583 e 585 c.p., da sporgere nel termine di 3 mesi dal fatto rivolgendosi direttamente alle autorità o ad un avvocato penalista che rediga un atto in funzione di un risarcimento del danno.
In questo caso la competenza è del Giudice di Pace ed è prevista come pena la multa che va da un minimo di 516 a un massimo di 2.582 euro o la permanenza domiciliare da un minimo di 15 a un massimo di 45 giorni o la prestazione di lavoro di pubblica utilità da un minimo di 20 giorni a un massimo di 6 mesi.
Per tutte le altre ipotesi, nelle quali dunque il reato sia procedibile d’ufficio, la competenza spetta al tribunale in composizione monocratica.
Stalking
I casi che riguardano la persecuzione sono purtroppo all’ordine del giorno e i dati statistici confermano un costante aumento del fenomeno. Ecco perché la denuncia per stalking risulta una figura di grande attualità.
Lo stalking si concretizza in comportamento persecutorio e reiterato, messo in atto da un soggetto denominato ‘stalker’, nei confronti della sua vittima.
Questo si manifesta sotto forma di minacce, molestie e atti lesivi che provocano nella vittima paura e stati d’ansia; chi subisce persecuzione è infatti costretto ad affrontare disagi sia fisici che psichici, che nel tempo arrivano a compromettere seriamente il normale svolgimento della vita quotidiana.
Le condotte che rientrano nel reato di stalking, ritenute dunque molestie o atti persecutori, sono di varia natura. Tra le più comuni rientrano atti come:
- sorvegliare,
- pedinare,
- aspettare,
- seguire i movimenti,
- raccogliere informazioni sulla vittima;
- appostarsi sotto casa, sul luogo di lavoro o addirittura introdursi in casa.
Rientrano negli atti persecutori anche la diffusione di dichiarazioni diffamatorie/oltraggiose e la minaccia di violenza nei confronti della vittima o delle persone a lei vicine (parenti, amici ecc.).
Il reato di stalking è disciplinato dal Codice Penale ed è entrato a far parte dell’ordinamento italiano con il Decreto Legge n. 11 del 2009, convertito dalla Legge n. 38 del 2009.
All’art. 612-bis (‘Atti persecutori’), la legge sullo stalking stabilisce che:
“salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.”
E’ previsto un aumento della pena se il fatto è commesso da un coniuge o ex coniuge e se commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità.
Il delitto è punito a querela della persona offesa, proponibile nel termine di 6 mesi.
Si procede, tuttavia, d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Reato di maltrattamenti in famiglia
Il reato di maltrattamenti in famiglia è disciplinato dall’art.572 c.p., il quale punisce chiunque maltratta un familiare o un convivente ovvero un soggetto sul quale esercita un’autorità (ad esempio per ragioni di lavoro, di status sociale ovvero su una persona che gli è stata affidata per educazione, istruzione o altre ragioni previste dalla norma).
È un reato procedibile d’ufficio avente il carattere dell’abitualità, il cui elemento psicologico è costituito dal dolo, ed è punito con la reclusione dai 3 ai 7 anni.
Può considerarsi maltrattamento ogni azione violenta o non violenta che comprime o impedisce lo sviluppo della personalità umana.
Abbiamo condotte commissive ed omissive. Quando si pensa ai maltrattamenti, infatti, li connotiamo per lo più fisici, e viene dunque naturale pensare ad una condotta commissiva.
In realtà c’è chi ha pensato che si possono avere dei maltrattamenti anche con condotte omissive; la norma non si esprime in merito e pertanto ci ha pensato la giurisprudenza a dare una risposta.
Con la sentenza n.41142/2010 la Corte di Cassazione ha stabilito, con riguardo al rapporto tra un minore e il responsabile della sua educazione e assistenza, che il reato di maltrattamenti in famiglia possa realizzarsi anche in condotte omissive, individuabili pure nel deliberato astenersi da parte del responsabile della educazione e della assistenza al minore, dall’impedire gli effetti illegittimi di una propria condotta diretta verso altri soggetti.
Il reato di maltrattamenti si può verificare anche in concorso con il reato di lesioni personali.
Questo perché gli eventi che possono verificarsi sono i seguenti:
- una lesione personale grave, caso in cui la reclusione è determinata fra i 4 e i 9 anni;
- una lesione personale gravissima, in cui la reclusione dai 7 ai 15 anni;
- la morte della vittima, con la reclusione dai 12 ai 24 anni.
Ci troviamo di fronte ad una norma che mira a tutelare la famiglia; di quest’ultima il legislatore ha inteso salvaguardare non solo l’integrità del nucleo, bensì l’incolumità fisica e psichica dei suoi membri, a maggior ragione se si tratta di minori sui quali occasioni di violenza e sofferenza possono incidere su un sano sviluppo psichico.