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Prescrizione: incostituzionale l'art. 83, co. 9 del decreto "Cura Italia"

Prescrizione: incostituzionale l’art. 83, co. 9 del decreto “Cura Italia”

La sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2021, n. 140 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, co. 9, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (noto anche come decreto “Cura Italia”) poiché ritenuto in contrasto col principio di legalità nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione “per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020”, vale a dire per i casi in cui i capi degli uffici giudiziari si siano avvalsi della possibilità di rinviare l’udienza penale come misura organizzativa volta a contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.

 

In realtà la pronuncia della Corte ha vagliato la legittimità costituzionale non solo di tale disposizione, ma in prima battuta anche di quella del co. 4 dell’art. 83 “nella parte in cui prevede che il corso della prescrizione dei reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso, per un periodo di tempo pari a quello in cui sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali”. La contestazione mossa riguardava l’incidenza retroattiva (ex se pregiudizievole per l’imputato) di tale intervento legislativo. Parte ricorrente, infatti, riteneva che l’entrata in vigore di una norma successiva riguardante un istituto di natura sostanziale come la prescrizione fosse in contrasto con il principio di legalità e di irretroattività della legge penale, garantito dall’art. 25, co. 2, Cost. (“nessuno può essere punito se non in fo rza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”) e dall’art. 7 CEDU (“nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”).

Le questioni di legittimità costituzionale inerenti l’art. 83, co. 4, sono state ritenute però manifestamente infondate, specificando inoltre che nel caso di specie, in assenza di valide motivazioni, la tutela di cui all’art. 7 CEDU non si possa ritenere più ampia e concorrente rispetto a quella di cui all’art. 25, co.2, Cost. La Corte ha richiamato una sua precedente pronuncia (sentenza 278/2020) in cui aveva già ritenute non fondate le medesime questioni. L’art. 83, co. 4, rientra a pieno titolo nella casistica prevista dell’art. 159 c.p. in materia di sospensione della prescrizione, la quale è prevista (fra gli altri) nel caso “in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge”. L’art. 83, co. 4, dunque, non è altro che una diretta applicazione di tale disposizione e la sospensione che prevede è basata su “elementi certi e oggettivi”.

 

Proprio l’assenza di questi ultimi requisiti – certezza ed oggettività – ha invece portato alla censura dell’art. 83, co. 9, del d.l. 18/2020. Infatti in questo caso la sospensione non è prevista in una casistica ben delineata e certa, ma è di fatto rimessa all’arbitrio dei capi di ufficio giudiziario, il cui intervento è assolutamente facoltativo, arbitrario ed incerto (sia nell’an che nel quantum, ovviamente). Nessuna interpretazione può restituire un grado di determinatezza della norma tale da rispettare gli standard costituzionali. La possibilità concessa ai capi degli uffici giudiziari di rinviare le udienze in maniera arbitraria conferisce alla disposizione un grado troppo elevato di soggettività ed incertezza per poter essere accettata dal nostro ordinamento, oltre a causare una difformità di trattamento fra casi analoghi a seconda che il capo di un ufficio giudiziario decida o meno di avvalersi del rinvio previsto dall’art. 83, co. 9.

Scrive la Corte: “la norma attualmente censurata, nel prevedere una fattispecie di sospensione del termine di prescrizione, rinvia a una regola processuale, recante la sospensione del processo, il cui contenuto è definito integralmente dalle misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario, così esibendo un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione”. L’art. 83, co. 9, non può rientrare dunque sotto il cappello dell’art. 159 c.p. e contrasta in maniera chiara ed evidente con i principi di legalità e di determinatezza del nostro ordinamento.

Oltre alla rilevanza pratica di tale pronuncia, quanto esposto dalla Corte Costituzionale sembra essere anche un piccolo monito per eventuali riforme future della prescrizione attualmente al centro del dibattito politico italiano.

 

Avv. Lorenzo Picardi