SEPARAZIONE E DIVORZIO NELLE “FAMIGLIE INTERNAZIONALI”
SEPARAZIONE E DIVORZIO NELLE “FAMIGLIE INTERNAZIONALI”
In caso di crisi del matrimonio, quando i coniugi siano cittadini di stati diversi o risiedano stabilmente in Paesi di cui non sono cittadini, le parti possono “scegliere” tra le varie leggi astrattamente applicabili quella ritenuta maggiormente tutelante e conveniente nel caso di specie, quindi, anche una normativa estera o, addirittura, anche più di una, in una sorta di patchwork di norme. In pratica si può optare per il meglio in ogni ambito, applicando ad esempio la normativa di un dato paese perché consente di addivenire più rapidamente allo scioglimento del matrimonio, accanto ad una legge di un diverso stato perché più incisiva in materia di tutela della prole.
La crescente mobilità delle persone all’interno dell’Unione Europea (e non solo) ha portato ad un progressivo aumento dei casi di “famiglie internazionali”, in cui i coniugi sono cittadini di stati diversi o risiedono stabilmente in nazioni di cui non sono cittadini o entrambe le dette condizioni contemporaneamente.
La presenza dei summenzionati elementi di internazionalità riguarda un numero sempre maggiore di rapporti coniugali: nell’ambito dell’UE è stimato che circa il 13% dei matrimoni abbia carattere transnazionale.
Qualora all’interno di questi nuclei familiari insorgano delle situazioni di conflitto, la loro risoluzione può preliminarmente richiedere di affrontare questioni di diritto internazionale privato, relative innanzitutto alla competenza giurisdizionale ed alla legge applicabile al caso concreto.
In Italia è previsto che una coppia sposata che intenda sciogliere il vincolo matrimoniale debba passare dapprima attraverso la separazione personale e, dopo un ulteriore periodo di tempo, al divorzio, che comporta il definitivo scioglimento del legame coniugale. Mentre l’istituto del divorzio, variamente disciplinato, è previsto in quasi tutto il mondo (ad esclusione di Filippine e Città del Vaticano), la separazione solitamente non costituisce un passaggio necessario per accedere al divorzio, come invece avviene nel nostro Paese.
Nei casi in esame, caratterizzati da elementi di internazionalità, anche il sistema delle fonti del diritto è complesso, soprattutto a causa della frammentazione delle fonti stesse. È dunque di fondamentale importanza la corretta individuazione della normativa di riferimento, sia sotto il profilo della giurisdizione che dell’individuazione delle norme applicabili, considerando che vi possono essere significative variazione, dipendendo in buona parte anche dalle “scelte” delle parti che possono, per quanto attiene alla norme sostanziali, chiedere che sia applicata, anche da un giudice straniero, una normativa estera, o, addirittura, una sorta di patchwork di norme, a seconda degli ambiti connessi, tendenzialmente in quanto ritenute più tutelanti, potendo essere modulate in modo da “prendere il meglio” da ogni singolo ordinamento giuridico.
Oggi vari regolamenti dell’Unione Europea disciplinano separatamente le singole questioni, in particolare i Regolamenti Bruxelles II bis (Reg. n. 2201/2003 del Consiglio) e Roma III (Reg. n. 1259/2010 del Consiglio) contengono le norme uniformi che regolamentano, rispettivamente, la giurisdizione e la legge applicabile nelle controversie in materia di separazione personale e divorzio.
Il primo aspetto da definire qualora si renda necessario instaurare una procedura di separazione o divorzio nelle controversie caratterizzate da un elemento di estraneità è quello relativo alla giurisdizione, ovvero all’individuazione dell’autorità giudiziaria di un determinato Stato membro competente a decidere sulla domanda. In materia di controversie matrimoniali trova applicazione il Reg. Bruxelles II bis, e solo residualmente (qualora in base al Regolamento non sia competente nessun giudice di uno Stato membro) la normativa italiana di cui all’art. 32 l. 218/1995 (secondo cui “in materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dall’art. 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia”).
Il citato regolamento disciplina la giurisdizione nonché il riconoscimento delle decisioni, non solo in materia di separazione e divorzio, ma anche di nullità e annullamento del matrimonio con norme uniformi che si applicano in tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione della Danimarca. Il sistema così introdotto individua una serie di criteri di giurisdizione alternativi e concorrenti tra loro, senza alcuna gerarchia. Ciò rende quindi possibile che coesistano più fori tutti ugualmente competenti tra cui scegliere.
In base all’art. 3 del Regolamento sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro:
“a) nel cui territorio si trova:
– la residenza abituale dei coniugi, o
– l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o
– la residenza abituale del convenuto, o
– in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o
– la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
– la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio “domicile”;
b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del “domicile” di entrambi i coniugi”.
Pertanto, in base alla lettera a), la residenza abituale anche di uno solo o di entrambi i coniugi in uno Stato membro costituisce titolo sufficiente a radicare la giurisdizione indipendentemente dalla cittadinanza delle parti (eventualmente anche extra UE) o da dove queste abbiano celebrato il matrimonio. Ciò determina l’ambito di applicazione ratione personae tendenzialmente universale delle norme sulla giurisdizione che, dunque, si estendono anche a cittadini non europei o a convenuti residenti in Paesi terzi.
In mancanza di una definizione univoca del concetto di residenza abituale, al fine di garantirne l’uniforme applicazione in tutti gli Stati membri, la giurisprudenza la identifica come il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa del soggetto interessato, nel quale egli abbia effettivamente fissato, con carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi e delle relazioni sociali ed affettive. Il giudice nazionale, al fine di verificare il rispetto del requisito, deve effettuare una valutazione di tipo sostanziale che prescinde dalla residenza anagrafica, non essendo sufficiente la presenza fisica nel territorio di uno Stato membro quando questa sia temporanea o occasionale e manchi una minima integrazione nell’ambiente sociale e familiare.
Accanto al criterio della residenza abituale è previsto quello alternativo della cittadinanza comune delle parti dello Stato del foro: potrà dunque essere competente anche l’autorità giurisdizionale dello Stato membro di cui entrambi i coniugi sono cittadini, anche qualora gli stessi risiedano in un Paese terzo (c.d. foro coloniale).
L’art. 19 del Regolamento n. 2201/2003, rubricato “litispendenza e connessione”, prevede, quale principio generale, che il procedimento instaurato per primo, davanti ad un giudice competente, prevalga su quelli proposti successivamente, radicando la giurisdizione dell’autorità preventivamene adita. L’autorità giurisdizionale successivamente adita dunque deve sospendere d’ufficio il procedimento e dichiarare la propria incompetenza non appena sia accertata la competenza del primo giudice. Il concetto di litispendenza di cui all’art. 19 è molto ampio richiedendo unicamente l’identità delle parti anche nel caso di domande aventi titoli diversi (ad esempio separazione e divorzio).
Ciò vale però in relazione alle sole domande proposte tutte nell’ambito di Stati membri dell’UE; qualora invece il giudice preventivamente adito sia quello di uno Stato terzo si applica la disciplina della litispendenza internazionale prevista dall’art. 7 l. 218/1995. Secondo tale norma, quando sia eccepita innanzi al giudice italiano la previa pendenza tra le stesse parti di una domanda avente medesimo oggetto e medesimo titolo (si badi bene: a differenza di quanto previsto dall’art. 19 del Reg. Bruxelles II bis, deve essere esattamente la stessa domanda!), il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, deve sospendere il giudizio. Solo qualora il giudice stranero declini la propria competenza o il provvedimento straniero non possa essere riconosciuto nell’ordinamento italiano, il giudizio interno potrà proseguire.
Individuata correttamente l’autorità giudiziaria a cui rivolgersi, occorre ora definire quale sia la legge applicabile alla controversia. Della materia se ne occupa il Regolamento n. 1259/2010, c.d. Reg. Roma III, che è vincolante per gli Stati che partecipano alla cooperazione rafforzata ed ha carattere universale nel senso che la legge designata dal Regolamento si applica anche laddove sia quella di uno Stato membro non partecipante o di uno Stato terzo.
Il Regolamento, che riguarda fattispecie che presentino elementi di estraneità rispetto alla Stato del foro, stabilisce norme uniformi sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio limitatamente alle questioni allo status personale (e dunque non, ed esempio, in tema di effetti patrimoniali del matrimonio, responsabilità genitoriale, obbligazioni alimentari ecc.).
La principale innovazione introdotta dal Regolamento in esame è costituita dalla previsione della facoltà di scegliere la legge applicabile, c.d. optio legis, riconosciuta alle parti entro determinati limiti. L’art. 5 difatti prevede che “i coniugi possono designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purché si tratti di una delle seguenti leggi:
a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; o
b) la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; o
c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; o
d) la legge del foro”.
La facoltà di scelta della legge applicabile, tra quelle appena indicate, consente alle parti di sottoporre la questione riguardante lo status alla disciplina sostanziale più favorevole, in particolare quando la legge prescelta ammetta la pronuncia di divorzio immediato, senza la necessità della preventiva separazione personale, come invece previsto dalla normativa italiana.
Tale accordo sulla legge applicabile può essere concluso o modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l’autorità giudiziaria e, ove previsto dalla legge del foro, anche nel corso del procedimento stesso. In tal caso l’autorità giudiziaria deve mettere agli atti tale designazione.
La giurisprudenza italiana sul punto ha ritenuto che la scelta possa essere operata anche dopo lo svolgimento dell’udienza presidenziale, sino al deposito delle memorie integrative di cui all’art. 709, comma 3 c.p.c. e art. 4, comma 10, l. 898/1970, o delle successive memorie di cui all’art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., mentre nel caso di c.d. consensualizzazione della separazione o del divorzio (anche limitatamente alla pronuncia sulla status) il momento ultimo per la formulazione della scelta della legge applicabile dovrebbe essere quello del perfezionamento dell’accordo sulle condizioni conformi, possibile sino all’udienza di precisazione delle conclusioni.
Affinché tale accordo sia valido, l’art. 7 del Regolamento richiede che lo stesso sia datato e sottoscritto da entrambi i coniugi e che abbia forma scritta, eventualmente integrata anche sottoforma di comunicazione elettronica se idonea a consentire una registrazione durevole dell’accordo.
Qualora le parti non si siano avvalse della facoltà di scelta, l’art. 8 del Regolamento prevede una serie di criteri di collegamento concorrenti in ordine successivo che designano, in primo luogo, la legge dello Stato “della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (lett. a) e, in mancanza di residenza abituale comune, la legge dello Stato “dell’ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (lett. b) o, in subordine, la legge dello Stato “di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (che potrebbe dunque essere anche uno Stato extra U.E.) (lett. c) o, infine, la legge dello Stato “in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (lett. d).
Il Regolamento prevede poi una clausola di ordine pubblico (art. 12) secondo cui l’applicazione di una norma della legge designata in base al Regolamento stesso può essere esclusa qualora risulti manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro. L’art. 10 inoltre introduce una clausola speciale di ordine pubblico in forza della quale si applica la lex fori nei casi in cui la legge designata in base al Regolamento non preveda il divorzio o preveda discriminazioni fondate sul sesso dei coniugi, ovvero non conceda ad uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso alla separazione personale o al divorzio.
Una volta determinati secondo i criteri sopra enunciati giurisdizione e legge applicabile sarà quindi possibile introdurre la procedura corretta (e più conveniente) al fine di sciogliere il vincolo matrimoniale.
In caso di crisi del matrimonio, quando i coniugi siano cittadini di stati diversi o risiedano stabilmente in Paesi di cui non sono cittadini, le parti possono “scegliere” tra le varie leggi astrattamente applicabili quella ritenuta maggiormente tutelante e conveniente nel caso di specie, quindi, anche una normativa estera o, addirittura, anche più di una, in una sorta di patchwork di norme. In pratica si può optare per il meglio in ogni ambito, applicando ad esempio la normativa di un dato paese perché consente di addivenire più rapidamente allo scioglimento del matrimonio, accanto ad una legge di un diverso stato perché più incisiva in materia di tutela della prole.
La crescente mobilità delle persone all’interno dell’Unione Europea (e non solo) ha portato ad un progressivo aumento dei casi di “famiglie internazionali”, in cui i coniugi sono cittadini di stati diversi o risiedono stabilmente in nazioni di cui non sono cittadini o entrambe le dette condizioni contemporaneamente.
La presenza dei summenzionati elementi di internazionalità riguarda un numero sempre maggiore di rapporti coniugali: nell’ambito dell’UE è stimato che circa il 13% dei matrimoni abbia carattere transnazionale.
Qualora all’interno di questi nuclei familiari insorgano delle situazioni di conflitto, la loro risoluzione può preliminarmente richiedere di affrontare questioni di diritto internazionale privato, relative innanzitutto alla competenza giurisdizionale ed alla legge applicabile al caso concreto.
In Italia è previsto che una coppia sposata che intenda sciogliere il vincolo matrimoniale debba passare dapprima attraverso la separazione personale e, dopo un ulteriore periodo di tempo, al divorzio, che comporta il definitivo scioglimento del legame coniugale. Mentre l’istituto del divorzio, variamente disciplinato, è previsto in quasi tutto il mondo (ad esclusione di Filippine e Città del Vaticano), la separazione solitamente non costituisce un passaggio necessario per accedere al divorzio, come invece avviene nel nostro Paese.
Nei casi in esame, caratterizzati da elementi di internazionalità, anche il sistema delle fonti del diritto è complesso, soprattutto a causa della frammentazione delle fonti stesse. È dunque di fondamentale importanza la corretta individuazione della normativa di riferimento, sia sotto il profilo della giurisdizione che dell’individuazione delle norme applicabili, considerando che vi possono essere significative variazione, dipendendo in buona parte anche dalle “scelte” delle parti che possono, per quanto attiene alla norme sostanziali, chiedere che sia applicata, anche da un giudice straniero, una normativa estera, o, addirittura, una sorta di patchwork di norme, a seconda degli ambiti connessi, tendenzialmente in quanto ritenute più tutelanti, potendo essere modulate in modo da “prendere il meglio” da ogni singolo ordinamento giuridico.
Oggi vari regolamenti dell’Unione Europea disciplinano separatamente le singole questioni, in particolare i Regolamenti Bruxelles II bis (Reg. n. 2201/2003 del Consiglio) e Roma III (Reg. n. 1259/2010 del Consiglio) contengono le norme uniformi che regolamentano, rispettivamente, la giurisdizione e la legge applicabile nelle controversie in materia di separazione personale e divorzio.
Il primo aspetto da definire qualora si renda necessario instaurare una procedura di separazione o divorzio nelle controversie caratterizzate da un elemento di estraneità è quello relativo alla giurisdizione, ovvero all’individuazione dell’autorità giudiziaria di un determinato Stato membro competente a decidere sulla domanda. In materia di controversie matrimoniali trova applicazione il Reg. Bruxelles II bis, e solo residualmente (qualora in base al Regolamento non sia competente nessun giudice di uno Stato membro) la normativa italiana di cui all’art. 32 l. 218/1995 (secondo cui “in materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dall’art. 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia”).
Il citato regolamento disciplina la giurisdizione nonché il riconoscimento delle decisioni, non solo in materia di separazione e divorzio, ma anche di nullità e annullamento del matrimonio con norme uniformi che si applicano in tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione della Danimarca. Il sistema così introdotto individua una serie di criteri di giurisdizione alternativi e concorrenti tra loro, senza alcuna gerarchia. Ciò rende quindi possibile che coesistano più fori tutti ugualmente competenti tra cui scegliere.
In base all’art. 3 del Regolamento sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro:
“a) nel cui territorio si trova:
– la residenza abituale dei coniugi, o
– l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o
– la residenza abituale del convenuto, o
– in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o
– la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
– la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio “domicile”;
b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del “domicile” di entrambi i coniugi”.
Pertanto, in base alla lettera a), la residenza abituale anche di uno solo o di entrambi i coniugi in uno Stato membro costituisce titolo sufficiente a radicare la giurisdizione indipendentemente dalla cittadinanza delle parti (eventualmente anche extra UE) o da dove queste abbiano celebrato il matrimonio. Ciò determina l’ambito di applicazione ratione personae tendenzialmente universale delle norme sulla giurisdizione che, dunque, si estendono anche a cittadini non europei o a convenuti residenti in Paesi terzi.
In mancanza di una definizione univoca del concetto di residenza abituale, al fine di garantirne l’uniforme applicazione in tutti gli Stati membri, la giurisprudenza la identifica come il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa del soggetto interessato, nel quale egli abbia effettivamente fissato, con carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi e delle relazioni sociali ed affettive. Il giudice nazionale, al fine di verificare il rispetto del requisito, deve effettuare una valutazione di tipo sostanziale che prescinde dalla residenza anagrafica, non essendo sufficiente la presenza fisica nel territorio di uno Stato membro quando questa sia temporanea o occasionale e manchi una minima integrazione nell’ambiente sociale e familiare.
Accanto al criterio della residenza abituale è previsto quello alternativo della cittadinanza comune delle parti dello Stato del foro: potrà dunque essere competente anche l’autorità giurisdizionale dello Stato membro di cui entrambi i coniugi sono cittadini, anche qualora gli stessi risiedano in un Paese terzo (c.d. foro coloniale).
L’art. 19 del Regolamento n. 2201/2003, rubricato “litispendenza e connessione”, prevede, quale principio generale, che il procedimento instaurato per primo, davanti ad un giudice competente, prevalga su quelli proposti successivamente, radicando la giurisdizione dell’autorità preventivamene adita. L’autorità giurisdizionale successivamente adita dunque deve sospendere d’ufficio il procedimento e dichiarare la propria incompetenza non appena sia accertata la competenza del primo giudice. Il concetto di litispendenza di cui all’art. 19 è molto ampio richiedendo unicamente l’identità delle parti anche nel caso di domande aventi titoli diversi (ad esempio separazione e divorzio).
Ciò vale però in relazione alle sole domande proposte tutte nell’ambito di Stati membri dell’UE; qualora invece il giudice preventivamente adito sia quello di uno Stato terzo si applica la disciplina della litispendenza internazionale prevista dall’art. 7 l. 218/1995. Secondo tale norma, quando sia eccepita innanzi al giudice italiano la previa pendenza tra le stesse parti di una domanda avente medesimo oggetto e medesimo titolo (si badi bene: a differenza di quanto previsto dall’art. 19 del Reg. Bruxelles II bis, deve essere esattamente la stessa domanda!), il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, deve sospendere il giudizio. Solo qualora il giudice stranero declini la propria competenza o il provvedimento straniero non possa essere riconosciuto nell’ordinamento italiano, il giudizio interno potrà proseguire.
Individuata correttamente l’autorità giudiziaria a cui rivolgersi, occorre ora definire quale sia la legge applicabile alla controversia. Della materia se ne occupa il Regolamento n. 1259/2010, c.d. Reg. Roma III, che è vincolante per gli Stati che partecipano alla cooperazione rafforzata ed ha carattere universale nel senso che la legge designata dal Regolamento si applica anche laddove sia quella di uno Stato membro non partecipante o di uno Stato terzo.
Il Regolamento, che riguarda fattispecie che presentino elementi di estraneità rispetto alla Stato del foro, stabilisce norme uniformi sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio limitatamente alle questioni allo status personale (e dunque non, ed esempio, in tema di effetti patrimoniali del matrimonio, responsabilità genitoriale, obbligazioni alimentari ecc.).
La principale innovazione introdotta dal Regolamento in esame è costituita dalla previsione della facoltà di scegliere la legge applicabile, c.d. optio legis, riconosciuta alle parti entro determinati limiti. L’art. 5 difatti prevede che “i coniugi possono designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purché si tratti di una delle seguenti leggi:
a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; o
b) la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; o
c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; o
d) la legge del foro”.
La facoltà di scelta della legge applicabile, tra quelle appena indicate, consente alle parti di sottoporre la questione riguardante lo status alla disciplina sostanziale più favorevole, in particolare quando la legge prescelta ammetta la pronuncia di divorzio immediato, senza la necessità della preventiva separazione personale, come invece previsto dalla normativa italiana.
Tale accordo sulla legge applicabile può essere concluso o modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l’autorità giudiziaria e, ove previsto dalla legge del foro, anche nel corso del procedimento stesso. In tal caso l’autorità giudiziaria deve mettere agli atti tale designazione.
La giurisprudenza italiana sul punto ha ritenuto che la scelta possa essere operata anche dopo lo svolgimento dell’udienza presidenziale, sino al deposito delle memorie integrative di cui all’art. 709, comma 3 c.p.c. e art. 4, comma 10, l. 898/1970, o delle successive memorie di cui all’art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., mentre nel caso di c.d. consensualizzazione della separazione o del divorzio (anche limitatamente alla pronuncia sulla status) il momento ultimo per la formulazione della scelta della legge applicabile dovrebbe essere quello del perfezionamento dell’accordo sulle condizioni conformi, possibile sino all’udienza di precisazione delle conclusioni.
Affinché tale accordo sia valido, l’art. 7 del Regolamento richiede che lo stesso sia datato e sottoscritto da entrambi i coniugi e che abbia forma scritta, eventualmente integrata anche sottoforma di comunicazione elettronica se idonea a consentire una registrazione durevole dell’accordo.
Qualora le parti non si siano avvalse della facoltà di scelta, l’art. 8 del Regolamento prevede una serie di criteri di collegamento concorrenti in ordine successivo che designano, in primo luogo, la legge dello Stato “della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (lett. a) e, in mancanza di residenza abituale comune, la legge dello Stato “dell’ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (lett. b) o, in subordine, la legge dello Stato “di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (che potrebbe dunque essere anche uno Stato extra U.E.) (lett. c) o, infine, la legge dello Stato “in cui è adita l’autorità giurisdizionale” (lett. d).
Il Regolamento prevede poi una clausola di ordine pubblico (art. 12) secondo cui l’applicazione di una norma della legge designata in base al Regolamento stesso può essere esclusa qualora risulti manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro. L’art. 10 inoltre introduce una clausola speciale di ordine pubblico in forza della quale si applica la lex fori nei casi in cui la legge designata in base al Regolamento non preveda il divorzio o preveda discriminazioni fondate sul sesso dei coniugi, ovvero non conceda ad uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso alla separazione personale o al divorzio.
Una volta determinati secondo i criteri sopra enunciati giurisdizione e legge applicabile sarà quindi possibile introdurre la procedura corretta (e più conveniente) al fine di sciogliere il vincolo matrimoniale.
Avv. Sara Sbarbati